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Il libro di Piretto è il risultato di anni di studi sulla cultura staliniana e su come essa ha forgiato nei dettagli e per decenni la vita dei cittadini sovietici. Come nel precedente Il radioso avvenire. Mitologie culturali sovietiche (Einaudi, 2001), che prendeva in esame anche il periodo rivoluzionario e quello della Nep, Piretto si concentra sulla costruzione del consenso, un aspetto della società totalitaria che spesso passa in secondo piano di fronte a quello della repressione, più evidente e gravido di conseguenze nefaste. È indubbio che non si finirà mai di studiare i sistemi coercitivi e repressivi. Non sappiamo ancora tutto e il dovere della memoria è un debito che abbiamo nei confronti delle vittime e delle future generazioni.
Tuttavia, questa dimensione repressiva non è l'unica modalità di azione dello stato totalitario che in Russia è stato in grado di mettere in atto una complessa e duratura strategia di persuasione, di lakirovka real'nosti, riverniciatura della realtà. In questo libro emerge bene la paradossale coesistenza di terrore e gioia di vivere ("Vivere è diventato più bello, più allegro" era uno degli slogan all'epoca) di cui era impastata tutta la società del tempo. Una sapiente regia, attenta ai nervi scoperti, ai punti sensibili della cultura che intendeva manipolare (la visualità, appunto, per un popolo educato alla contemplazione delle icone), si adoperava per la creazione di una realtà virtuale che puntava ad avvolgere e fascinare le masse, ottundendo la capacità critica, ma anche fornendo una via di fuga per poter vivere nell'orrore e nella paura. E ciò attraverso la spettacolarizzazione della realtà.
Film, manifesti, l'architettura al servizio della costruzione di un immaginario urbano utile a costituire una sorta di sfondo collettivo plasmante la vita individuale nei comportamenti più privati (dalla gastronomia alla sessualità). L'interesse di Gli occhi di Stalin non sta però solo nella ricchezza del materiale offerto all'interpretazione. Vi è tutta una branca di studi culturologici in materia. In questo suo nuovo libro Piretto non rimane sul piano di un meccanismo il funzionamento culturale di determinati miti da smontare. La sua analisi mostra chiaramente come terrore e gioia di stato non siano fenomeni in contraddizione, ma l'espressione di un'unica ideologia totalitaria. Tutto è trasformato in spettacolo e il tiranno è lo spettatore privilegiato di tale azzardata, e piena di hubris, Gesamtkunstwerk, ossia l'opera d'arte totale vagheggiata da tutto il modernismo. Ciò non è che una delle modalità di essere e di consolidarsi dello stato totalitario, teso a riempire le coscienze. Ecco perché è impossibile parlare dello spettacolo e non del suo retroscena, la tragedia. Ecco perché il libro è anche una riflessione su ogni manipolazione della realtà: iniziando con un auspicio ("Oggi vedere non dovrebbe più essere sinonimo di credere"), suggerisce in modo lieve una via da percorrere tramite l'epigrafe da don Camillo della Bassa: "E il mondo nel quale viviamo io, te e Stalin non è forse una cosa che si vede e si tocca?". Di fronte all'ideologia globalizzante la concretezza del mondo che si vede e si tocca aiuta a dissipare la pericolosa fascinazione di ogni iperrealtà manipolatoria.
Maria Candida Ghidini
Cinema, cartelloni pubblicitari, monumenti: attraverso immagini di diverso ambito si indaga il ventennio che ha visto l'affermazione di Stalin negli anni Trenta e Quaranta del XX secolo.La particolare situazione impostata sull'ambiguo binomio terrore/euforia costituisce il filo rosso che lega i capitoli, dedicati a momenti differenti della costruzione del discorso totalitario: dai festeggiamenti in tempo di terrore all'epopea della Grande guerra patriottica, passando attraverso etichette di fiammiferi e carte di caramella. Le molte illustrazioni che arricchiscono il volume costituiscono oggetto di specifica analisi e commento.
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