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In una trentina di pagine, Alessandro Broggi (1973) delinea morfologia e confini del nuovo paesaggio italiano, interiore ed esteriore, attraverso brevissimi brani narrativi tutti identificati dallo stesso titolo ("Nuova situazione"), e suddivisi in due o tre paragrafi. Situazioni in realtà poco nuove, con personaggi quasi sempre delusi, scoraggiati, privi di speranze e prospettive, inchiodati in ruoli familiari ed esistenziali ripetitivi e alienanti, senza via d'uscita. In uno stile piano, privo di astuzie o ambizioni letterarie, che evidentemente intende riflettere la pochezza delle vite raccontate, Broggi narra di coppie annoiate che si tradiscono, di vacanze finite tragicamente, di bambini improvvisamente malati. E padri violenti, madri sterili, mariti indifferenti in carriera; si salva solo chi non si ferma a pensare, lasciandosi cullare in giornate vissute senza partecipazione emotiva, evitando qualsiasi autoanalisi psicologica, e soprattutto qualsiasi riflessione su ciò che condiziona la nostra condizione di esseri umani: collettività, economia, politica, fede. Il guardarsi dentro è sentito come un inutile privilegio, dalle persone che l'autore ci presenta: "Credo che la regina di tutte le prove, in questo triste anno, sia aprire gli occhi senza piangere, sia cercare di dar tregua ai pensieri, di guarire dalla malattia del dispiacere". All'interno di questi orizzonti domestici, e di questa anime impoverite, il massimo della tragedia può essere rappresentato dalla morte della micia, o dall'avere tette troppo grosse, o dallo scoprire che la pelle del proprio viso si disidrata facilmente. La banalità trionfa nei discorsi che queste persone si scambiano, nelle mete che si prefiggono di raggiungere, nell'acquiescente corrispondere ai modelli proposti dai media: e il linguaggio del narratore si adegua amaramente ai personaggi presentati. Forse un pizzico di vivacità e di ironia in più non sarebbe guastato.
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