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A chi non ha conosciuto Arrigo Castellani o non ne ha frequentato a lungo gli scritti, accostarsi ai due ponderosi tomi di questi Nuovi saggi (che ripropongono tutti gli interventi comparsi su rivista o in miscellanee dal 1976 al 2004, proseguendo e completando l'opera iniziata con i tre volumi dei Saggi pubblicati sempre da Salerno nel 1980) fa l'impressione di entrare in una pinacoteca di nitidi capolavori, dalle linee precise e necessarie, ciascuno mirabilmente concluso in sé e al tempo stesso organicamente connesso agli altri in modo da restituire nell'insieme merito questo anche del prezioso lavoro svolto dai curatori un ritratto potente e del tutto fedele dei diversi campi di studio percorsi, alimentati e talvolta ricreati dalla perizia critica di uno dei più grandi storici della lingua italiana.
I Nuovi saggi documentano in modo circostanziato il Castellani "classico", ossia lo studioso che in più di cinquant'anni di attività ha ricostruito la mappa dei volgari della Toscana medievale, delineando i tratti salienti di ciascuna area a partire da una "sterminata ricchezza" di "dati adunati da infaticabili spogli" (Serianni) di testi di carattere pratico (ossia non letterari: la definizione si deve a Castellani stesso): del fiorentino innanzitutto (e richiamo qui la lucida indagine che spiega le dinamiche del Monottongamento di -uo "nel fiorentino popolare dell'inizio del XIX secolo"), poi del pisano e del lucchese (parte IV), del senese, del colligiano e del volterrano. Accanto alla definizione delle varietà toscane, i Nuovi saggi testimoniano anche, più ampiamente, l'attenzione riservata da Castellani all'italiano antico nella sua polimorfica e instabile complessità: dalla fonomorfologia (cito a esempio il fondamentale studio Da sè a sei), al lessico (si veda l'intervento sul lessico dell'artiglieria in età rinascimentale), all'etimologia (ricordo tra le altre la derivazione del termine "striscia" dall'antico tedesco strich "linea", anziché da un adattamento onomatopeico, come segnalato dai vocabolari etimologici), alla sintassi, al sistema paragrafematico (sintagma invalso negli studi di lingua proprio a partire dal saggio Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno). In terza battuta, i Nuovi saggi additano con chiarezza nell'attività di ricerca e edizione dei testi (parte VI) il presupposto, e al tempo stesso il banco di prova, dello studio dell'italiano e in particolare del toscano antico.
Al rinvenimento talvolta fortuito delle carte ("Otto o nove anni fa mi trovai ad acquistare, presso la libreria Gozzini di Firenze, una coperta di libro membranacea contenente all'interno [...] un inventario in volgare che fin dal primo momento mi parve di notevole interesse"), alla costante frequentazione di biblioteche e archivi, seguiva per Castellani l'applicazione di un metodo di lavoro nel quale nulla era lasciato al caso: la descrizione materiale delle carte e dei criteri di trascrizione (che, messi a punto dallo stesso Castellani sul precedente modello elaborato da Alfredo Schiaffini, "han fatto scuola", come ha ricordato Paola Manni), l'edizione e il commento linguistico completati da un glossario dei termini più significativi. Questa capacità di "aggredire" l'opacità delle carte antiche facendo interagire strategicamente discipline molteplici, dalla storia della lingua alla filologia, dalla paleografia alla codicologia, al fine di riportare in luce e rendere completamente accessibili le ricchezze dei testi, procede di pari passo con il continuo interrogare sé, gli amici e i colleghi sui risultati raggiunti e con la disponibilità a rivedere, aggiustare il tiro, correggere o perfezionare conclusioni rivelatesi inesatte o incomplete, sia proprie sia altrui.
I rendiconti degli scambi con i colleghi e l'uso sistematico della prima persona singolare, che incorniciano con naturalezza il rigore argomentativo dei Nuovi saggi, lasciano così emergere, dietro il nitore delle linee e l'eleganza degli affreschi, la vivezza della personalità dell'autore, la sua inesauribile curiosità intellettuale e la sua capacità di coinvolgersi in prima persona nell'oggetto delle sue ricerche, mosso a suo stesso dire da "un attaccamento forse patologico per la lingua". L'affermazione è contenuta in uno degli interventi della parte I che, riguardando l'italiano contemporaneo, è stata scelta dai curatori quasi a cospicuo esergo di entrambi i tomi. I criteri di ricerca applicati da Castellani all'attualità della lingua sono infatti pienamente coerenti con quelli usati negli studi di grammatica storica (si veda il bellissimo saggio sulla parola "referente"): se alcune delle sue posizioni non sembrano più sostenibili (come il rifiuto della categoria di "italiano dell'uso medio", elaborata da Francesco Sabatini e diffusa ormai negli studi sulla lingua anche letteraria) e altre discutibili (penso a Morbus anglicus, dichiarazione d'intenti del Castellani neopurista), rimane attuale, tanto per chi la lingua la studia quanto per chi si limita a parlarla, il monito: "Ricordiamoci che siamo responsabili".
Margherita Quaglino
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