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Nuove regole in fabbrica. Dal contratto Fiat alle nuove relazioni industriali - Paolo Rebaudengo - copertina
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Descrizione


L'accordo siglato da Fiat e sindacati (tranne la Fiom) il 16 giugno 2010 per la fabbrica di Pomigliano, con quel che ne è seguito, dal successivo accordo di Mirafiori, alla battaglia legale ingaggiata dalla Fiom, all'uscita della Fiat da Confindustria, costituisce senza dubbio uno spartiacque nella storia delle relazioni industriali del nostro paese, portando con sé una diversa idea di collaborazione e responsabilizzazione dei lavoratori nei confronti dell'azienda. Un'idea che costituisce oggi il modello a cui pare ispirarsi la riforma del lavoro di cui si discute in questi mesi. Paolo Rebaudengo, che condusse l'intera trattativa per conto della Fiat, nella sua veste di responsabile delle Relazioni industriali del gruppo, ne dà in questa breve testimonianza un personale resoconto, documentato, puntuale e non privo di spiriti polemici. L'introduzione di Giuseppe Berta mette in prospettiva l'accordo nel quadro dell'evoluzione generale delle relazioni industriali, mentre la postfazione di Raffaele De Luca Tamajo dà una valutazione della vicenda dal punto di vista del giuslavorista.
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Dettagli

2015
12 marzo 2015
110 p., Brossura
9788815257369

Voce della critica

  Paolo Rebaudengo offre in questo libro una testimonianza degli eventi che hanno segnato le difficili relazioni industriali alla Fiat fra il 2008 e il 2013. Lo fa dall'angolo visuale privilegiato di chi ha mantenuto l'incarico di responsabile dei rapporti con i sindacati dal 1996 al 2012, continuando, anche successivamente, a collaborare col management di Sergio Marchionne. L'autore dichiara di voler fissare le sue memorie sui fatti di Pomigliano e Mirafiori e sul contrasto con la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, perché ritiene che le scelte adottate dalla Fiat abbiano avuto delle "conseguenze sul sistema paese". Che le vicende narrate rappresentino un archetipo, come sostiene l'autore, o un semplice caso seppur carico di valore simbolico, come affermano altri, è una circostanza controversa. Infatti, la Fiat, da un canto, rappresenta un modello non facilmente imitabile – essendo un'azienda quasi unica nel paese per dimensioni e storia – dall'altro canto, tende ad anticipare evoluzioni sistemiche, poiché è stato uno dei primi gruppi industriali italiani ad aprirsi al mercato globale. Come che sia, dal saggio emerge chiaramente anche l'esigenza personale (non per questo meno interessante) di togliersi quei sassolini nella scarpa rappresentati dalla "grande abilità comunicativa" della Fiom e dalla "timidezza" della Confindustria, con cui pure, almeno fino all'approdo in azienda dell'attuale amministratore delegato, l'autore aveva lavorato in grande sintonia. Il racconto procede cronologicamente a cominciare dalla decisione aziendale di investire sul sito industriale di Pomigliano, "che di certo non brillava per eccellenze gestionali e industriali" e in cui "vigevano regole e comportamenti gestionali anomali", ma che aveva un significato politico-industriale di grande importanza. Questa scelta si collocava nell'ambito di una strategia finalizzata a trasformare la Fiat in un operatore del mercato globale – di lì a poco avrebbe preso a chiamarsi Fiat Chrysler Automobiles (Fca) – e introducendo regole di produzione diverse rispetto al passato, da applicare in tutti gli stabilimenti del gruppo. Rebaudengo sottolinea che l'azienda aveva interesse a fruire del lavoro del personale con criteri tali da assicurare il successo degli investimenti, mentre non v'era intenzione di negare diritti già acquisiti dai lavoratori, né di appesantire il lavoro degli operai. Prova di ciò sarebbero soprattutto le proposte riguardanti: l'applicazione del modello di misurazione temporale della prestazione (ErgoUas), che mira a evitare l'affaticamento dei lavoratori e che ha imposto all'azienda di ridisegnare le postazioni lavorative; il sistema dei turni, che poteva essere deciso anche unilateralmente dall'azienda e che, invece, è stato anch'esso oggetto di confronto con i sindacati; la disciplina di controllo sui primi giorni di malattia, che, in concreto, ha condotto a trascurabili casi di sanzione; la disciplina delle pause, che passava da quaranta a trenta minuti, ma fronte dei quali veniva riconosciuto un aumento in busta paga pari ai dieci minuti aggiuntivi di lavoro. In questo contesto, l'azienda intendeva stabilire regole proprie di comportamento e di gestione del personale, che prescindessero da quelle dei contratti collettivi nazionali i quali, per forza di cose, non potevano rispondere alle esigenze specifiche di una azienda singola. Per raggiungere l'obiettivo, sostiene l'autore, Fiat avrebbe potuto imporre un regolamento aziendale unilaterale (provocando "una rivoluzione del sistema dei rapporti sindacali") e, invece, pur volendo imprimere una forte innovazione, ha comunque salvaguardato "il rispetto dei ruoli del sindacato sia all'interno della fabbrica sia come interlocutore dell'azienda" (non manca chi sostiene che il contratto aziendale mascheri in realtà un regolamento unilaterale imposto). I fatti che più hanno scandalizzato l'autore, nonostante la sua pluridecennale esperienza, riguardano proprio le trattative avviate, in virtù di questa scelta, con il più noto e antico sindacato di categoria d'Italia. Della Fiom si dice non solo che la sua opposizione era eminentemente politica e non compatibile con gli interessi "veri" dei lavoratori metalmeccanici, ma anche che le pretese avanzate erano riferibili solo al potere e al ruolo dei delegati e dei rappresentanti sindacali, oppure che in sede di trattativa la Fiom aveva espresso opinioni favorevoli, successivamente smentite dopo l'accordo con le organizzazioni più collaborative, o ancora che aveva avuto l'ardire di difendere casi di assenze ingiustificate anomale in occasione delle partite di calcio. A proposito della principale critica formulata dalla Cgil e da un rilevante settore dell'opinione pubblica, l'autore replica che "non c'era correlazione fra l'accordo e l'investimento" nel senso che non era stato imposto alcun ultimatum ai sindacati, né poteva ravvisarsi alcun ricatto verso i lavoratori. Rebaudengo sostiene infatti che la trattativa doveva servire all'azienda solo per valutare gli investimenti e che l'accordo non impegnava l'azienda "ma era l'elemento che creava le condizioni per decidere di farli". Quanto alla fase successiva alla stipula degli accordi separati, l'autore critica la scelta della Fiom di coltivare il contenzioso giudiziario, ma è improbabile che la strada dello sciopero, che pure non è mancato, sarebbe stata meno sgradita. A questo proposito, si segnala inoltre un'altra importante replica alla clamorosa ed ennesima sconfitta giudiziale subita da Fiat per aver discriminato i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano: l'autore scrive che la percentuale di iscritti alla Fiom riassunti era bassissima solo perché i lavoratori avevano deliberatamente scelto di abbandonare quel sindacato, proprio per contestare la sua politica sindacale e non che l'assunzione fosse subordinata alla rinuncia alla tessera sindacale sgradita. Non mancano, infine, le stoccate a Confindustria, rea di aver già sottoscritto nel 2008 e nel 2009 contratti collettivi nazionali insoddisfacenti per Fiat, di avere "non poche difficoltà a legittimare il proprio ruolo nel complesso sistema di rappresentanza delle imprese" e, in sostanza, di voler difendere lo status quo solo per giustificare la propria ragion d'essere. Quanto agli esiti delle vicende narrate, Rebaudengo pone al suo attivo un vistoso ridimensionamento degli scioperi e dell'assenteismo e vanta il coraggio di una scelta strategica rischiosa e "divisiva", ma fondamentale per rispondere alle nuove condizioni del mercato, e considera "incredibile" la lezione che lo stabilimento di Pomigliano ha dato al paese: sui lavoratori campani infatti prevalevano i pregiudizi e pochi pensavano che le questioni di sostanza poste da Fiat a proposito di certe prassi anomale fino ad allora avallate sarebbero state capite e accolte dalla maggioranza di essi. L'autore non esita, infine, a formulare delle proposte: chiede il superamento definitivo dei "vuoti rituali di dialettica negoziale" e auspica che i sindacati tutelino gli interessi dei lavoratori, "nell'ambito di un interesse più ampio che è quello collettivo dell'impresa", senza precisare in che modo, ma, in un'appendice al saggio, individua linee guida più precise in materia di rappresentanza sindacale aziendale, invocando l'intervento del legislatore, in sintonia con quanto scrive nell'interessante postfazione, Raffaele De Luca Tamajo, l'avvocato lavorista della Fiat.   Maurizio Falsone

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