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È sperabile che questa raccolta di saggi trovi un'adeguata diffusione in un'epoca in cui anche nella germanistica la rappresentazione complementare e speculare del testo e della sua contestualità storico-culturale è da molti considerata un modello critico-interpretativo sin troppo scontato. Al contrario, a Bevilacqua siamo, fra l'altro, ancora debitori di quel volume, Letteratura e società nel secondo Reich , pubblicato nel 1977 e purtroppo oggi non facilmente reperibile, nel quale ricomponeva e spiegava, con un rigoroso inquadramento storiografico, fenomeni letterari, sviluppando la tesi che "il Novecento letterario tedesco si svolge organicamente da una realtà che ha la sua matrice nella storia politica e culturale delle età bismarckiana e guglielmina". Proprio da qui occorre prendere di nuovo le mosse per orientarsi nel percorso dei quattordici saggi che, in gran parte già noti, contribuiscono con il loro assemblaggio a dare coerenza all'insieme e ad alimentare nuove prospettive interpretative.
Apre infatti la raccolta una panoramica Sulla cultura tedesca del fine secolo in cui Bevilacqua, osservando per contrasto la mancanza di "emozione chiliastica" alla fine del secondo millennio, coglie invece la problematica ricchezza di fermenti e degenerazioni nella cultura fin de siècle fra Otto e Novecento. Emerge soprattutto quella "dicotomia storica" fra il polo reichsdeutsch prussiano, "ascendente" e "assertivo", e quello austriaco, "discendente" e "involutivo", che nel quadro europeo della cultura a cavallo dei due secoli si riverbera sulle specifità nazionali, esaltando nel mondo tedesco elementi panici e vitalistici, mentre in quello absburgico si affermano un crepuscolarismo e una sofferenza morale, prodromi di una fine imminente. Bevilacqua, più che gli epifenomeni, privilegia momenti di divergenza, come attesta ad esempio la diversa ricezione di D'Annunzio in Germania e in Austria, perché "sono essi che fanno agire quei tropismi elettivi che è compito poi della storia delle letterature comparate indagare e mettere a fuoco".
Con richiami di carattere metodologico e sostanzioso conforto di fonti e materiali, l'autore esorta poi a diffidare delle drastiche cesure fra un prima e un dopo l'avvento di un fenomeno letterario per cui le avanguardie classiche del Novecento avanzerebbero "una pretesa di assoluta novità". Ce lo dimostra proprio con l'uso del monologo interiore, considerato novecentesco per eccellenza, e che trova una sua anticipata applicazione addirittura nel "naturalismo conseguente" in apparenza ritenuto impermeabile a questa tecnica, ma in realtà "la frattura è tra realismo e naturalismo piuttosto che tra naturalismo e avanguardia".
Il fecondo equilibrio di lettura del testo, analisi delle infrastrutture narrative e dimensione storico-sociale risalta nei due articolati saggi sulla formazione filosofica di Musil e sul suo primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless , di cui si esplorano finemente le dinamiche psicologiche, si ricostruisce la "diagnosi impietosa della giovane generazione fin de siècle " e si rilevano le connessioni con il romanzo maggiore.
Di contorno, ma a ben vedere anch'essi contributi centrali nelle investigazioni prospettiche di Bevilacqua, sono fra gli altri i saggi sulla presenza di Edipo come motivo e mito nella letteratura tedesca moderna, con specifico riferimento alla tragedia Edipo e la sfinge di Hofmannsthal, sul rapporto Freud-Schnitzler, sulla produzione giovanile di Hesse, su Kafka, visto nella sua professione di assicuratore e impiegato modello, sulle complesse problematiche traduttive e poetologiche della trasposizione della rima: conferma di un accostamento alla letteratura a tutto campo perché tali sono vita e storia.
Fabrizio Cambi
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