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"Quei ragazzi erano oltre qualsiasi ragionamento, s'erano trasformati in sogno, mito, istinto di morte, erano uomini con la febbre nel sangue e un paese malato negli occhi. Un paese calpestato dagli scarponi chiodati di tre generazioni di soldati..."
Che cos'è l'America Latina? È passione, dolore, rabbia, oppressione e utopia. Se l'europeo che la attraversa non chiude gli occhi, godendo solo del turchese del mare e della limpidezza della luce andina, se si fa invece attraversare dalla verità di popolazioni oppresse e violentate da regimi corrotti e dittatoriali, allora non può che entrare in perfetta empatia con le sofferenze, la disperazione e la voglia di ribellione di quei popoli. È questo infatti il tono dell'ultimo libro di Claudio Fava, giornalista e scrittore, uomo provato nella sua storia umana e politica dalla violenza brutale di una mafia che gli ha ucciso il padre, ha attentato alla sua stessa vita, ma non è mai riuscita a spegnere il suo coraggio nella denuncia, la sua testimonianza attiva, la sua voglia di giustizia. Allora è quasi naturale che vi sia in lui un'adesione profonda alle sofferenze di popoli in lotta contro l'oppressione, che se ne faccia interprete, che presti loro voce e occhi per comunicare al mondo, quel mondo opulento che dal loro dolore troppe volte ha tratto benefici, quanto grande è la malvagità che li soffoca. Da libri prevalentemente autobiografici e di ambientazione siciliana o meridionale Fava passa così all'analisi, attraverso interviste e testimonianze, di alcune personalità di oppressori, lasciando a sé solo alcune pagine (in corsivo). Spesso però è più facile capire gli aguzzini dai racconti delle loro vittime e sarà Carlos Varela, giornalista, o Victor Jara, cantante, o Edgardo Enriquez, ministro di Allende, che faranno davvero rivivere al lettore l'angoscia di quel 11 settembre 1973 a Santiago del Cile, l'odio per quel generale pallido e insignificante. Augusto Pinochet è stato sognato per vent'anni da Antonio Leal, segretario, a quei tempi, della Gioventù comunista cilena, torturato, incarcerato e poi mandato in esilio per poter essere esibito agli stranieri come trofeo di generosità del dittatore. Oggi, in un paese "quasi normale", è tornato il giornalista Claudio Fava ad osservare quel "quasi" e a rivedere "la chimica di ogni dolore umano" e la finzione dell'oblio.
E a Lima è l'incontro con una madre, la madre di Victor, sepolto a morire ancora vivo in un carcere disumano al gelo delle Ande, è il cimitero il cui sono stati gettati i corpi, indegni di pianto e di amore, dei guerriglieri tupamaros uccisi come cani nell'ambasciata giapponese, che ci consente di capire chi è il Chino, il presidente Fujimori, che di quell'eccidio è così orgoglioso da tornare spesso in quei luoghi, da aver atteso due giorni a far spostare i cadaveri per poter essere fotografato quando li calpestava, da desiderare che tutto restasse così per sempre, esempio terribile di vittoria contro i terroristi.
A San Salvador è invece la frustrante ricerca del maggiore d'Aubuisson, l'intervista perennemente rimandata, le poche parole strappategli in modo rocambolesco in un bagno del Congresso, la diffidenza e il disprezzo di tutti i militari del suo entourage per la condanna internazionale dei massacri perpetrati dal regime a dare corpo e voce alla malvagità sprezzante, al sarcasmo acido di Roberto d'Aubuisson, il capo degli "escuadrones de la muerte".
E poi Panama, gli americani e i loro affari, l'uso di uno Stato come di un giocattolo per i loro guadagni, e infine la Colombia, il narcotraffico, e ancora gli americani, le implicazioni internazionali, i regolamenti di conti, le rapine, i sequestri e una popolazione allo sbando (ventimila morti ammazzati l'anno), una famiglia, gli Orejuela, i boss del Cartello su cui ruota il traffico di droga internazionale, spesso vista come una delle poche fonti di lavoro.
E infine il capitolo che davvero dà all'intero libro il senso generale, il messaggio più forte: le madri di Plaza de Majo e il loro aguzzino, tra loro è Hebe (due figli e il marito uccisi, anzi desaparecidos) e in primo piano lui, l'assassino dalla faccia d'angelo, il capitano Astiz, "l'angelo della morte".
Un libro che colpisce come una lama, duro e dolcissimo nello stesso tempo: duro nella rabbia, nella condanna senza appello dei macellai di Stato, dolce nell'amore, nel coinvolgimento umano e intellettuale, nella solidarietà per le vittime.
A cura di Wuz.it
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