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Anno edizione: 2015
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Una lucida e folle visione di una personalità geniale e decisamente segnata dalla vita in carcere. Bello e lirico in alcuni passaggi, fastidioso in altri: molto "faticoso", almeno per me. Sono contento di averlo letto, ma non lo rileggerei.
Con Genet anche se ti aspetti di ricevere messaggi disturbanti, la tua intima preparazione non é sufficiente. Fin dai primi inizi la fellatio accostata come immagine ad un campanile immerso in una nuvola ti colpisce allo stomaco e l'autore é anche capace di autocelebrarsi in carcere immerso nelle sue fantasie masturbatorie, ma quello che non prevedi é di trovarti poi di fronte all'apologia dell'assassinio a sangue freddo. Apologia che é sinteticamente descritta, ma che si sente essere qualcosa di passionale, di vissuto, senza il tramite indiretto, come fa lo scrittore di genere, dell' ispirazione tratta dalle pagine di cronaca nera. Ciò premesso la prosa lirica dell'autore riesce in vari episodi a rendere in modo poetico le ansie dell'essere umano e lo squallore di certe vite. Fra tutti il mio preferito é quello della descrizione degli inizi della povera vita di vagabondo di Culafroy/Divina in bilico fra croste di pane trovate nelle pattumiere ed il "canto del gardenal".
Con Genet anche se ti aspetti di ricevere messaggi disturbanti, la tua intima preparazione non é sufficiente. Fin dai primi inizi la fellatio accostata come immagine ad un campanile immerso in una nuvola ti colpisce allo stomaco ed é anche capace di autocelebrarsi in carcere immerso nelle sue fantasie masturbatorie, ma quello che non ti aspetti é poi di trovarti di fronte all'apologia dell'assassinio a sangue freddo. Apologia che é sinteticamente descritta, ma che si sente essere qualcosa di passionale, di vissuto, senza il tramite indiretto, come fa lo scrittore di genere, dell' ispirazione tratta dalle pagine di cronaca nera. Ciò premesso la prosa lirica dell'autore riesce in vari episodi a rendere in modo poetico le ansie dell'essere umano e lo squallore di certe vite. Fra tutti il mio preferito é quello della descrizione degli inizi della povera vita di vagabondo di Culafroy/Divina in bilico fra croste di pane trovate nelle pattumiere ed il "canto del Gardenal".
Recensioni
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recensione di Boatto, A., L'Indice 1997, n. 5
Riconosciamolo: Genet ci investe con una cupa e dura grandezza capace di provocare in noi qualcosa di simile a una vertigine. Questa discende dalla sua irriducibilità, dal suo proposito di risultare irrecuperabile. Lo scrittore francese ha creato un universo corporale, nero e delittuoso, chiuso ostentatamente in sé e irraggiungibile tanto dal rovesciamento razionale della dialettica quanto dall'ordine provvidenziale della carità. Mai ha cercato la tolleranza e tanto meno il riconoscimento "garantito dalla legge" ed è riuscito a spingere il suo partito preso d'incomunicabilità fino a tenere lontano dalla sua pagina il lettore medesimo.
Se ogni forma di devianza sessuale, a partire dall'omosessualità, si rivela minacciata di recupero, allora Genet, posseduto come pochi dal senso della gerarchia come di una fisica scalinata, ne percorre tutti i gradini per innalzare sulla cima il criminale assoluto: lo stupratore e l'assassino di bambini.
L'esistenza votata alla degradazione e all'ignominia conosce sempre al suo termine, segnato dalla morte violenta o naturale, un'inversione, un moto d'innalzamento. Notre-"Dame-des-Fleurs" si apre con la sepoltura di Divine, un travestito di Pigalle consunto dalla tisi, e si conclude con la condanna alla ghigliottina di Notre-Dame, il suo bellissimo amante. Funerale ed esecuzione capitale acquistano l'aspetto di una consacrazione, di una mitica apoteosi.
In "Notre-Dame-des-Fleurs", il primo libro pubblicato da Genet, che solo adesso appare in italiano nella sua versione integrale, leggiamo questa frase diversamente variata lungo le sue pagine: "Sotto la fotografia splendevano d'aurora i suoi crimini, ne dicevano la gloria segreta e ne preparavano la gloria futura (...) È in onore di questi crimini che scrivo il mio libro".
Appartiene a quelle opere scritte in prigione - ce ne sono di grandissime, dal "Don Chisciotte" alle "120 giornate di Sodoma" -, composto fra Parigi e Fresnes negli anni 1941-42, un biennio tremendo per la Francia e l'Europa. Libri come questi sono fatti per liberare, rifiutare il mondo esterno, "ammobiliare" con l'immaginario la propria desolazione. Per questo il libro di Genet non è e non può essere un romanzo, e anche le etichette di "antiromanzo" o di "metaromanzo" appaiono logorate al punto da risultare inutilizzabili. In "Notre-Dame-des-Fleurs" Genet appare costantemente presente nella sua più volte dichiarata opera di affabulatore, di regista e di celebrante, tanto da avvicinarsi a quella sorgente da cui nascono le parole e i fantasmi - quella zona a cui si erano accostati i surrealisti e in cui si collocherà Beckett narratore. L'autore dispone solo di uno spartito visivo, una ventina di foto di giovani maschi col "segno sacro del mostro", criminali già da tempo defunti, appese al muro con molliche di pane masticato. Sono essi a eccitare il suo erotismo solitario, a "concimare" le sue fantasmagorie masturbatorie, a dare vita a narrazioni discontinue, dilatate e disperse, a mascherare un gruppo di frammenti autobiografici, ad animare una serie di gesti minimi e materiali. Accendere una sigaretta, entrare in una stanza, sputare, muovere i muscoli acquistano ogni volta un risalto minuzioso e singolare.
È forse l'attrazione del vuoto e dell'irrealtà a sprofondare la sua scrittura in due direzioni divergenti: da una parte, verso il piano dell'emozione sensibile e interiore - dopo tutto c'è profondità in Genet e, ancora più "scandaloso", c'è incanto e felicità -, dall'altra, verso la mimica, l'arabesco gestuale, la teatralità. La teatralità narrativa come più tardi la teatralità recitata in modi rituali si rivelano come la forma capace di saldare il desiderio alla sua realizzazione fittizia, il sogno al suo compimento nel mondo dell'apparenza.
Nella sua continua fluttuazione, il racconto si radica in una coppia di marginali, Divine, il travestito venuto a Parigi dalla provincia, che possiede la sensibilità di una donna e il modo di pensare di un uomo, e Notre-Dame-des-Fleurs, il bel ragazzo biondo, guappo vile e mantenuto, che ha ucciso un vecchio pederasta. Ancora una volta il movimento che lo conduce al luogo dove il cliente lo attende e dove verrà compiuto il delitto equivale a un'ascensione. Decisamente Genet possiede il senso della gerarchia, della salita al crimine e alla morte come di una fatalità destinata e consacrante.
Così il suo universo finisce per intrecciare due movimenti opposti: l'innalzamento che magnifica e trasfigura ottenuto a danno dei valori riconosciuti, che vengono invece rovesciati. L'apologia del male viene espressa con metafore eucaristiche e mariane oppure regali. Nelle seicento pagine di Sartre del suo "Saint-Genet, comédien et martyr", che hanno minacciato di schiacciare per sempre l'autore del "Diario del ladro", troviamo anche alcune formule centrate: ad esempio esiste in Genet "una variazione insolita della teologia". E ciascun rovesciamento come ciascuna salita si presenta fastoso, carico di parole di gusto barocco. Catene di metafore attraversano come festoni la narrazione, la rallentano e la slargano fino a farle smarrire le sue ragioni per ripartire immediatamente in una diversa direzione. Ma non senza aver prima fatto ritorno alla voce in prima persona di Genet scrivente e recitante a un tempo.
Pochi libri si dimostrano quanto questo refrattari al riassunto, ma mirabilmente aperti alla citazione.
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