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Anno edizione: 2019
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"Non è tempo di essere" è tutto da leggere, e non me la sento di dire s’è stato più trascinante leggere le poesie di Chodasevič o se le note alle proprie poesie scritte da lui o gli altri scritti di Chodasevič recuperati dalla Graziadei per raccontare le poesie di Chodasevič. Quando tra te e il poeta c’è chi traduce dalla lingua del poeta alla tua, passando per la sua, sua di chi traduce intendo, la poesia di chi si sta leggendo? E qui non mi riferisco solo alle lingue nazionali, al russo e all’italiano, ma alla lingua che ognuno di noi ha sia anatomicamente nel palato sia, in senso appena appena più lato, nella propria mente: ancora, sono tutti piani in movimento, l’instabilità continua sulla quale Moresco fonda i suoi romanzi colossali e tremolanti.
I versi qui raccolti sono stati composti tra il 1906 e il 1928: a lungo sottovalutati in patria (nonostante l’apprezzamento di importanti intellettuali come Nabokov, che li definì “di una complicata meraviglia”), trovarono la debita risonanza solo a fine ’900. Nell’approfondita introduzione della curatrice Caterina Graziadei, che ricostruisce empaticamente l’intera vicenda umana di Chodasevič, inserendola nel corrispondente contesto storico e culturale, la poesia dell’autore moscovita viene ripercorsa nei suoi sviluppi e nelle sue fondamentali proprietà stilistiche: “Un’intonazione senile guida i versi di Vladislav Chodasevič, che inclinano al ricordo, alla meditazione sulla morte, appena scossi da un brivido leggero di compiacimento nel contemplare il disfarsi. Senile è la postura da cui osserva il mondo”. Proprio l’osservare dalla finestra un esterno cui è orgogliosamente conscio di non appartenere, è il principale leitmotiv della raccolta: “Guardo dalla finestra, e disprezzo, / Guardo me stesso, pure disprezzato, / Invoco tuoni sulla terra, senza credere al cielo”. Estraneo al comune sentire, isolato da un diaframma di esibita consapevolezza di sé, il poeta cerca rifugio nella protettiva quotidianità domestica, nella frequentazione di luoghi e personaggi conosciuti e mai ostili, utilizzando un lessico colloquiale che intervenga a spezzare il tono elevato imposto dalla meditazione filosofica. Spesso quindi la sua scrittura assume timbri prosastici e narrativi, talvolta addirittura sarcastici, scegliendo come oggetto la banalità dei comportamenti più umili, la modestia silenziosa degli interni familiari, gli sfondi cittadini dei parchi, delle strade, dei tram, dei mestieri di Mosca. Abbandonata la Russia, l’orizzonte privato di Chodasevič si fa minaccioso, la sua scrittura patisce la sconfortante previsione di un futuro grottesco e sadico, da cui difendersi sfidando la storia e Dio dapprima con rabbiose provocazioni, quindi con un progressivo e inaridito silenzio.
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