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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Nel 1991 Oz scriveva Fima, romanzo di ben difficile lettura, perché impregnato di divagazioni senza fine e più che ripetitive, oltremodo logorroico e inconcludente. Nel 1994 partorisce questo nuovo romanzo, con una trama fitta e intelligente, che sembrerebbe dar ragione alla teoria evoluzionistica di Darwin (in senso positivo, ovviamente). E’ un duetto che si svolge a capitoli alterni tra Noa, quarantacinquenne professoressa di un liceo a Tel Kedar, cittadina nel deserto del Negev (forse sulla via delle spezie, rotta che le portava dall’Arabia meridionale al Mediterraneo), e il marito Theo, urbanista di 60 anni. Un suo studente muore per overdose e il padre, giunto da Lagos, chiede a Noa di creare un centro per tossicodipendenti. Noa si butta nell’impresa a capofitto (emula del biblico Noah e della sua arca), incontrando resistenze a non finire non solo da parte degli abitanti di Tel Kedar e dal sindaco, ma anche dalle autorità centrali a Gerusalemme. Il romanzo è di grande attualità e ben si attaglia alla situazione odierna (giugno 2018) in Italia, dove gl’insegnanti non solo sono oberati di compiti (come la povera Noa) ma vengono spesso malmenati da studenti e dai loro genitori (sorte risparmiata all’epoca di Noa!). Lo stesso vale per il centro di disintossicazione, avversato dalla cittadinanza per paura che disturbi la quiete pubblica e porti torme di drogati ad invadere quel tranquillo angolo del deserto. Proprio come qui da noi dove il nuovo governo appena insediato promette di rispedire a casa valanghe d’immigrati, colpevoli solo di fuggire da paesi martoriati da guerre, carestie e povertà assoluta. L’intreccio del romanzo è ben congegnato e il racconto coinvolge umanamente il lettore. Con la consueta maestria, Oz non solo esplora gli animi dei suoi protagonisti, ma anche racconta la vita nel deserto con superbe immagini e descrizioni straordinarie dei colori, della flora e della fauna autoctone e importate dai coloni quivi trapiantatisi.
"L'unica via per aiutarla è non cercare di aiutarla. Solo diventare piccoli. Congelarsi. Confondersi con il muro. Fermi. Davvero la finestra c'è ed è rimasta aperta? Davvero spero che voli fuori? Oppure sto in agguato, fermo, la fisso dal buio con gli occhi pietrificati, in attesa che crolli sfinita. Allora potrò piegarmi e prendermi cura di lei come all'inizio. Sin dall'inizio." Amoz Oz "Non dire notte" In una nuova cittadina ai confini con il deserto israeliano, una coppia matura trascorre la quotidianità tra progetti da realizzare, tradimenti di poca importanza, sintonie profonde. Al di là di ogni silenzio, di ogni differenza, ci sono scelte sagge di riflessione e conciliazione. Storia breve, trama semplice quasi pretestuosa. Prosa lenta e affascinante che Oz, dichiaratamente, cerca di "suonare come geometria, di asciugare il sentimentalismo, altrimenti viene stucchevole come marmellata di prugne che tra l'altro detesto"
Un grande romanzo a due voci nel silenzio della notte in cui il vento e la polvere del deserto rendono uniche le atmosfere che Oz riesce a creare.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
In Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz (2002; Feltrinelli, 2003), fra i tragici e umoristici genitori e parenti, profughi dal disastro di un'Europa abbandonata "col cuore spezzato" ma eternamente rimpianta, c'è il nonno Alexander Klausner, amatissimo dalle donne fino in tarda età, garbato e scherzoso cultore della leggerezza. Qual è il segreto del suo fascino? La qualità che lo rendeva diverso dagli altri uomini era, dice Oz, "una virtù straordinaria che forse è per le donne più sensuale di qualunque altra: lui ascoltava". Ma non faceva finta di ascoltare, non interrompeva per arrivare al dunque, non pensava già cosa rispondere, non fingeva, non cercava di passare dagli argomenti futili di lei a quelli cruciali di lui, no: ascoltava con calma e curiosità e, anche dopo la fine, la aspettava.
Ascoltare. È sempre questo, in altri modi, il tema fondamentale di Non dire notte, uscito in Israele nel 1994 e ora proposto da Feltrinelli: un romanzo a due voci che mette in scena la delicatezza e fragilità del rapporto amoroso, ma anche le differenti generazioni, la crisi e la sua possibile soluzione positiva, mediante appunto l'ascolto e il rispetto. Come tutti i libri di Amos Oz, è anche una dichiarazione di amore e di pena per gli ebrei di Israele ("un gruppo sparuto di sopravvissuti e profughi mezzi isterici, sopravvissuti a terribili incubi", scriveva altrove), ma anche per gli arabi di Palestina e i conflitti insanabili che insanguinano quella terra, per il sogno della Palestina che si è trasformato in incubo "ma pur sempre un sogno" (La scatola nera, 1987; Feltrinelli, 2002).
Il sessantenne Theo, "un patrimonio nazionale, una perla", come Noa la giovane moglie ben sa, ha lasciato l'attività pubblica e Tel Aviv accettando di ritirarsi con lei a Ted Kedar, piccolo insediamento nei pressi di Beer Sheva, al cui progetto egli stesso ha collaborato alla fine degli anni cinquanta. Qui il suo tempo sembra rarefatto, la sua attività si dirada, e Theo sembra vivere cercando di tenere semplicemente le cose sotto controllo, scrutandole attentamente per placare l'apprensione, e ascoltando il vicino deserto. Il deserto, infatti, comincia dove finisce il cortile di casa ed è il vero, grande protagonista e sfondo del romanzo e della Palestina: "Oltre (il cortile) si dispiegano colline desolate: laggiù c'è il deserto. Laggiù un mulinello grigio s'alza a scatti, freme un istante, si contorce, corre, cala. Torna in qualche altrove". E si veda il capitolo in cui Theo si smarrisce in una tempesta di sabbia, e avanza a tentoni con il campo visivo interamente occupato di "milioni di granelli vorticanti". E il buio, e la strana felicità dello spaesamento.
Se Theo nelle lunghe notti insonni ascolta se stesso, e il deserto, e la radio a bassa voce, anche Noa lo osserva e prende la parola: "Ultimamente, come Menachem Begin nei suoi anni di reclusione, si sintonizza ogni notte su Londra. Si aspetta qualche notizia che tutti gli tengono nascosta? Cerca forse un'altra prospettiva? O parla con se stesso attraverso la radio? Forse sta solo cercando di prendere sonno. La sua insonnia s'insinua nel mio sonno e vi spenge quel poco di sogni in cui avrei potuto sperare". Lei è vitale, irruenta, disordinata, impulsiva: e impulsivamente, alla morte forse per droga di un allievo adolescente con il senso di colpa degli adulti di fronte alla purezza disarmata dei giovani si impegna nel progetto di un istituto per ragazzi drogati, sconsigliata da Theo ("Ho detto: Theo, non sono più una bambina"). Su questo progetto si gioca in realtà molto di più: si gioca la sua autonomia di giovane donna dall'amore-protezione del padre della patria Theo. La tensione del rapporto di coppia è metafora concreta dell'insofferenza dell'ultima generazione israeliana, i figli dei kibbutzim, rispetto a quelli che hanno fatto Israele e che oggi sembrano purtroppo aver perduto la capacità di ascoltare gli altri, gli arabi di Palestina.
Ma non così Theo, che ora si mette in disparte, quasi immobile per non spaventarla nella sua ansia e confusione: "L'unica via per aiutarla è cercare di non aiutarla. Solo diventare piccoli. Congelarsi. Confondersi con il muro. Fermi". E tuttavia, ogni cosa ha il suo rovescio, come Amos Oz riesce a dire con meravigliosa semplicità: "Davvero la finestra c'è ed è rimasta aperta? Davvero spero che voli fuori? Oppure sto in agguato, fermo, la fisso dal buio con occhi pietrificati, in attesa che crolli sfinita? Allora potrò piegarmi e prendermi cura di lei come all'inizio. Sin dall'inizio".
Come il "buon lettore" da lui descritto in tante sue pagine (e più di tutti la madre dal tragico destino, "una lettrice di grazia suprema"), lo scrittore entra nei panni dei suoi personaggi fino ad accogliere e esprimere il loro io più nascosto e segreto quello, dice, che tratteniamo nelle cantine e nei meandri più oscuri della psiche , stemperando così la loro e la nostra solitudine nel reciproco riconoscersi con inquietudine, meraviglia e sollievo.
Da "ascolto" nasce il concetto politico e la parola che Oz e con lui David Grossman e Yehoshua propongono per la martoriata Palestina: "compromesso". Conflitti e compromessi è il sottotitolo del festival Dedica di Pordenone, che dal 3 al 17 marzo 2007 ha dedicato a Oz interviste, presentazioni, spettacoli tratti dai suoi libri e musiche: "Noi abbiamo necessità di un compromesso scriveva Oz in una delle tre conferenze Contro il fanatismo del 2002, compromesso, non capitolazione. Compromesso significa che il popolo palestinese non debba mai mettersi in ginocchio, e nemmeno debba farlo il popolo ebraico israeliano". Il conflitto israelo-palestinese, dice, è un conflitto fra due vittime. "Due vittime dello stesso oppressore. L'Europa che ha colonizzato il mondo arabo (
) è la stessa Europa che ha (
) sterminato in massa gli ebrei".
Noa e Theo si allontanano e si riprendono, questo è il loro compromesso: ognuno tenacemente legato al proprio io ma anche tenacemente pronto ad accogliere l'altro e a immaginarlo, a immaginare di essere lui per comprenderlo. Il romanzo è punteggiato da alcune dolci notti di amore, ben lontane dal sarcastico, splendido e feroce Grande Amore narrato in Scatola nera, dove l'amore era mescolato a rancore e vendetta, mentre qui tutto è modulato sulla tenerezza di una raggiunta maturità e nella persistenza cocciuta, quasi da contadino, di lui.
In un magistrale e leopardiano capitoletto, la notte, in "un freddo e aspro chiarore di stelle", Theo nella sua insonnia immagina e sente il beduino cieco della piazza cha ascolta anche lui il fruscio della notte, perché "dietro l'alito del silenzio e sotto il fischio del grillo gli pare s'insinui un gemito di morti": dai morti recenti ai pastori nomadi di secoli fa, fino anche al grugnito di cammelli morti, fino al "grido di un capro sgozzato ai tempi di Abramo", al "crepitio di un albero fossile". Noa, nella sua camera, dorme, e si prepara alla vita del giorno dopo.
Nell'intreccio di voci in cui sono immerse le due voci principali, i problemi astratti si rivestono anche in modi umoristici di carne e sangue, con accenti di verità che per quanto riguarda la voce femminile non smettono di stupire. Perché da sempre, nei suoi romanzi, Amos Oz si confronta, ascolta e immagina anche la voce femminile, contraddittoria e generosa, imprevedibile e provocatoria, inesausta interlocutrice della voce maschile.
Laura Barile
Theo ha sessant'anni. è un uomo che ha attraversato la vita con intelligenza e coraggio: è stato urbanista di grande valore, ha progettato insediamenti e quartieri modello; ha vissuto le stagioni della guerra e quelle dell'incerta pace nella sua giovane patria, Israele. Ha conosciuto la sua terra e anche il mondo; ha continuato a progettare, a conoscere la natura e le debolezze degli esseri umani, ad amare sbrigativamente tante donne. Poco alla volta ha intuito che nulla è poi così importante, che la vita passa senza quasi lasciare segno. Poi, un giorno in Venezuela, ha incontrato Noa, una professoressa israeliana più giovane di lui di quindici anni e in un attimo gli è parsa la persona giusta con cui invecchiare, un'anima pura da proteggere amorosamente dalla brutalità dell'esistenza. Così l'ha portata in patria, prima nella chiassosa Tel Aviv e poi in una piccola città israeliana spuntata come un fiore polveroso in mezzo al deserto del Negev, il posto giusto dove dimenticare l'insensatezza della vita e invecchiare in pace. I turbini di sabbia che si sollevano all'alba ai bordi del paese sembrano a Theo l'immagine giusta su cui meditare, molto più vera di ogni presunzione umana e di ogni convulsa volontà. Ma Noa non è una donna arresa alla disillusione, anzi, aspetta solo l'occasione per spendersi totalmente in un impegno profondo. L'occasione per farlo arriva tragicamente quando un suo allievo diciassettenne muore per overdose e il padre del ragazzino le chiede di aprire un centro per giovani tossicodipendenti dedicato al figlio. è l'opportunità che Noa aspettava, ma anche il momento per una scelta importante: continuare come sempre o battersi e correre rischi per realizzare qualcosa di diverso? Noa accetta la sfida con tutta la determinazione che possiede perché, ovviamente, nessuno vuole avere drogati sotto casa, nessuno vuole seccature. Anche Theo, compagno fedele e premuroso, la scoraggia col suo mutismo e il suo sguardo impassibile. Il rapporto che già da tempo sembrava essersi sopito, entra in crisi. Due modi opposti di concepire la vita si scontrano: l'entusiasmo contro la saggezza di chi è convinto che tutto sia inutile; la buona volontà contro il nichilismo; l'amore contro il fatalismo.
I due protagonisti si alternano di capitolo in capitolo nella narrazione della vicenda: la forza delle due personalità si mescola alle vite degli abitanti di Tel Kedar, vecchi e nuovi immigrati, persone colpite da tragedie immani, ma anche personaggi buffi e vitali. Non dire notte non è esplicitamente un romanzo politico: è un libro che esplora l'animo umano, che racconta la realtà quotidiana di una comunità israeliana che cerca di vivere una vita normale come qualsiasi altra cittadina del mondo. è un romanzo che parla di gente che vuole fare qualcosa di buono, anche se solo in un piccolo paese sperduto nel deserto.
In questo libro più che mai, Amos Oz sa racconta i limiti e le infinite risorse dell'amore e della tolleranza in questo vortice polveroso che è la vita.
Leggi l'intervista esclusiva ad Amos Oz su WUZ.
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