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Anno edizione: 2024
Anno edizione: 2024
Dall'autrice Premio Nobel per la Letteratura 2024
Apparso nel 2021, Non dico addio in Francia ha ricevuto il Prix Médicis étranger 2023 e il Prix Émile Guimet 2024
«Una scrittrice superiore.» - Deborah Levy
«Non dico addio è probabilmente il romanzo migliore della scrittrice coreana da quando ha esordito, a metà degli anni Novanta.» - Le Monde
« Il mare stava arretrando.
Anziché sommergere la costa, onde alte come falesie si ritraevano impetuose verso il largo. Un deserto di basalto si estendeva fino all’orizzonte. Coni vulcanici scintillanti di nero affioravano dall’acqua, simili a immensi tumuli. Decine di migliaia di pesci che non erano stati risucchiati dalla marea si dibattevano sul fondale asciutto in un luccichio di squame. Su quella distesa di roccia nera giacevano sparpagliati scheletri bianchi che sembravano di squali o balene, relitti di navi, barre di ferro lucenti, tavole di legno avvolte in vele a brandelli.
Il mare era scomparso alla vista. Non è più un’isola, pensavo contemplando l’orizzonte ».
Un vasto cimitero sul mare. Migliaia di tronchi d’albero, neri e spogli come lapidi, su cui si posa una neve rada. E intanto la marea che sale, minacciando di inghiottire le tombe e spazzare via le ossa. Da anni questo sogno perseguita la protagonista Gyeongha che, dopo una serie di dolorose separazioni, si è rinchiusa in un volontario isolamento.
Sarà il messaggio inatteso di un’amica a strapparla alla sua vita solitaria e alle immagini di quell’incubo: quando Inseon, bloccata in un letto di ospedale, la prega di recarsi sull’isola di Jeju per dare da bere al suo pappagallino che rischia di morire, Gyeong-ha si affretta a prendere il primo aereo per andare a salvarlo. A Jeju, però, la accoglie una terribile tempesta di neve e poi un sentiero nell’oscurità dove si perde, cade e si ferisce. È l’inizio di una discesa agli inferi, nel baratro di uno dei più atroci massacri che la Corea abbia conosciuto: trentamila civili uccisi, e molti altri imprigionati e torturati, tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949. Una ferita mai sanata che continua a tormentare le due amiche, proprio come aveva tormentato la madre di In-seon, vittima diretta di quel crimine. Tre donne, unite dal filo invisibile della memoria, che con determinazione si rifiutano di dimenticare, di dire addio e troncare il legame con chi non c’è più.
Con la sua scrittura al contempo lirica e implacabilmente precisa, fatta di « istanti congelati in volo che brillano come cristalli », Han Kang riesce a raccontare questa pagina buia della storia, non solo coreana, consegnando al lettore un romanzo doloroso, lucido e poetico – dove la frontiera tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile sfuma fin quasi a svanire. Un romanzo che lei stessa ha definito « una candela accesa negli abissi dell’anima umana ».
Apparso nel 2021, Non dico addio è l’ottavo romanzo di Han Kang, scrittrice sudcoreana nata nel 1970 e divenuta famosa dopo aver ottenuto nel 2016 il Man Booker International Prize per La vegetariana (Adelphi, 2016). Nel 2024 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura. Di lei Adelphi ha pubblicato anche Atti umani (2017), Convalescenza (2019) e L’ora di greco (2023).
In copertina: Fotografia di Lee Jeonglok, tratta dalla serie Private Sacred (2008). Courtesy of Pontone Gallery. © Lee Jeonglok
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Romanzo onirico, e allo stesso tempo realistico, sull'amicizia, sulla crudeltà e sulle relazioni umane più in generale. Straziante e crudo, dolce e pieno di tenera nostalgia.
La scrittrice non è in grado di stabilire una tensione narrativa ed ha un andamento che talvolta precipita in una minuziosità stancante, perché vi si intravede un espediente per andare avanti, non sapendo altrimenti come fare. Qui il punto più interessante è il ricordo di un evento storico occorso nel 1948 alla Corea del sud, un altro degli strascichi funesti della seconda guerra mondiale. La descrizione drammatica di questo evento costituisce il nerbo della storia che altrimenti si perderebbe in descrizioni minuziose, vedi la storia dei pappagallini, che poteva essere liquidata in tre righe e invece prende svariate pagine.
Opera di straordinaria intensità, che avvince e non concede respiro. Libro, come recita la motivazione del Nobel 2024, "di intensa prosa poetica" che conquista con una scrittura di grande purezza e insieme profondamente emozionante (per i lettori italiani merito anche della traduzione) . Un capolavoro della contemporanea letteratura dell'Estremo Oriente.
Recensioni
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