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recensione di Papuzzi, A., L'Indice 1996, n. 9
Esordio nella narrativa di un medico milanese, anni cinquantacinque (responsabile del servizio di oculistica dell'Istituto nazionale dei tumori), con trentotto brevi racconti, in forma di monologhi ultimi, sulla morte in guerra. Una "Spoon River" in prosa e bellica, che ha per teatro non una piccola comunità americana ma la dispersa comunità dei caduti, soldati e non, su innumerevoli fronti.
Spesso l'autore prende lo spunto da notizie di cronaca o da documenti storici per inventare i suoi morituri che danno addio alla vita. Quasi sempre la chiave narrativa è un rovesciamento di prospettiva, come nel racconto intitolato "Prof. Ulrich Schmidt. Insegnante di storia", che si compone semplicemente di tre lettere, datate ottobre '42, dicembre '42, maggio '43. Nella prima il professore (tedesco) scrive al figlio Alfred, che combatte a Stalingrado: "Ricorda sempre che tuo dovere è servire la Patria in ogni attimo"; e gli rammenta la gioia provata quando Alfred e il fratello Hans si sono arruolati. Nella seconda il figlio gli descrive l'orrore e l'inutilità della guerra: "Io non so se riuscirò un giorno a tornare a casa ma ti voglio dire che se questo accadrà io odierò la guerra per tutta la vita". Nella terza il padre esorta l'altro figlio, Hans, imbarcato su un sommergibile, anch'egli inorridito, ad accettare i doveri del soldato e gli comunica, con un post scriptum, la morte del fratello a Stalingrado: "Nella sua ultima lettera ha ancora inneggiato alla nostra guerra mostrando così di non avere dimenticato il suo dovere di Tedesco e i miei insegnamenti".
Il significato del libriccino è questa inversione fra la materialità della guerra e la sua immagine, fra la realtà e la retorica. Provvisto di una robusta capacità descrittiva, che riesce a fermare in una posa, in un gesto, la psicologia delle persone, De Vecchi scrive spinto da una necessità: demitizzare la guerra, spogliarla dei paramenti sacri, disarcionarla dai cavalli equestri. In virtù della sua professione, spesso lascia affiorare scene di malattia, di infezione, di barelle e corsie (tanto da ricordare singolarmente un film non tanto vecchio di Bertrand Tavernier: "La vita e nient'altro"). Uno dei racconti più belli è forse G.T. "Sindaco", dove la dinamica e le ragioni di una rappresaglia, in un paesino francese, ultima guerra, galleggiano sul prosciugamento dell'umano sentire. Per difendere il padre, il giovane Robert, ferito e convalescente, schiaffeggia un ufficiale tedesco: "È stato allora che Robert l'ha schiaffeggiato. Anche lui non lo ha colpito con violenza. Parevano due amici che giocassero un vecchio gioco". Che cos'è la guerra se non questo? Un vecchio scherzo, che si continua a praticare, con le sue retoriche e il suo cinismo, per salvarsi dalla vita.
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