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Valeria Bianchi Mian è una donna piena di risorse, poliedrica e sfaccettata, riluce da ogni angolo la si voglia guardare. Ho letto con curiosità il suo libro dopo averne conosciuto le profondità attraverso la poesia e, devo dire, sono rimasta favorevolmente impressionata. La narrazione è costruita a incastro, come un puzzle ove ogni tessera va collocata al suo posto a dare un'immagine di insieme sorprendente, per la riuscita della quale ogni singolo pezzo è fondamentale. I personaggi prendono corpo e perdono anima via via che l'intreccio si disvela, portando alla luce ogni ombra della psiche di ognuno. Tutti, in varia misura, recano un vissuto che è fardello pesante. Molti esibiscono ferite che suppurano dolore. Il perno su cui tutto ruota è Arturo Colzi, un imprenditore del cioccolato ridotto a un cencio bavoso vuoi da una gestione poco accorta degli affari, vuoi dalla demenza invalidante. Attorno all'uomo gravitano persone e segreti che, uno a uno, rosicchiano quel po' di coscienza che a sprazzi si riaffaccia alla sua memoria malata, fino a indurlo a uscire di casa in vestaglia e pantofole, sotto una pioggia battente, per gettarsi nel fiume (il racconto si apre con la sensazionale notizia riportata dai media e va a ritroso, per analizzare la genesi del tragico gesto). L'autrice, che tra le altre cose è psicoterapeuta, affronta con evidente competenza il tema delle psicosi e delle dipendenze, costruendo un romanzo a tratti duro e crudo, con un linguaggio diretto ma variamente modulato: a volte si fa dolce, altre sferzante, altre ancora metaforico, ma srmpre di forte impatto. Interessante l'ambientazione di ogni capitolo, quasi una annotazione a margine, come a voler allestire una scena teatrale per meglio cogliere la tensione emotiva del narrato. Un inserto "psico-filosofico" è invece dato dai dialoghi tra due colleghi, uno dei quali aveva in carico il defunto Colzi, che discutono del caso come si trattasse, in fondo, di letteratura. Eccellente.
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