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Accade sempre più di rado che uno scrittore, specie un giovane scrittore, oggi, oltre a inventare una storia, sia capace di inventarsi una lingua che, da sola, sia capace di raccontare un nuovo mondo. È quello che è riuscito a Fabio Greco col suo primo romanzo, Il nome dell’isola. Greco racconta un Salento lontano anni luce da quello ormai patinato che il recente cinema italiano ci ha consegnato e creando personaggi ed episodi sempre sospesi tra allucinazione e realtà di un meridione che è, contemporaneamente Totò e Magna Grecia. Tutto avviene nell’Isola delle Pazze, un lembo di terra e di scogli, dove Masello, il protagonista, ascolta storie di paesani che combattono epiche battaglie contro pescispada quasi umani e, naturalmente, lavora. Nella sua bottega di scultore di cartapesta, per lo più a soggetto sacro. È lui che si muove e allaccia tra di loro le storie che si stratificano in questa narrazione polifonica. Il committente numero uno di Masello arriva a bottega, per la sagra imminente, ha bisogno di una statua della Madonna dell’Aiuto. Dopo mesi di lavoro, la Madonna di cartapesta arriverà puntuale alla chiesa suscitando non poche perplessità nei fedeli al suo disvelamento, perché troppo in carne rispetto alle altre magre e pie Madonne della tradizione; e anche perché troppo gioiosa, troppo sorridente. Entriamo qui in una delle scene più divertenti del libro, raccontate con assoluta maestria.
Ma sono tanti gli episodi e, soprattutto, i personaggi memorabili che popolano questo isolotto sulle coste del Salento. Due donne su tutti gli altri. La vecchia Amanda (…) e Mariabbondanza, venere giunonica e fuori ogni taglia, di cui Masello si invaghisce dopo averla vista per la prima volta in piedi sull’omonima barca; e poi, a sorpresa, spiandola nella sua brutale intimità, mentre piscia, da uomo, in piedi, sulla barca. Mariabbondanza, vera e propria forza della natura, valchiria integerrima e fascinosa. Mariabbondanza di una bellezza sovrabbondante e imbarazzante, di un’opulenza che stride con la povertà di un mondo misero e sterile tutt’intorno a lei. (…)
La vera protagonista del romanzo resta, tuttavia, la lingua narrante che Greco riesce a mettere in scena sulla pagina. Da sempre, nella nostra letteratura, anche la più recente, resiste una vena sotterranea dantesca, potremmo dire, o gaddiana, se vogliamo parlare di prosa. Minoritaria. Afasica. Non vista. Latitante. Capace però di risalire improvvisa in superficie in modo inaspettato come ne Il nome dell’isola, dove si fa lingua madre sontuosa e magmatica, tenuta sempre saldamente in pugno dall’autore, fuochista capace di vere e proprie esplosioni descrittive. Cosa si vuole di più da un giovane scrittore al suo esordio (…)?
Recensione di Giuseppe Caliceti
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