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Studioso di Rsi e persecuzioni antiebraiche in Italia, per questo lavoro Amedeo Osti Guerrazzi utilizza la trascrizione delle conversazioni intercorse (e intercettate) fra gli alti ufficiali delle forze armate italiane durante la loro prigionia in Inghilterra, per una larga parte del 1943. Sono documenti di primissima mano, i quali, benché privi di verità sconvolgenti o inattese, contribuiscono a chiarire la posizione verso il fascismo di alcuni rappresentanti per nulla secondari dell'esercito e della marina, facendo luce su cosa potesse stare dietro all'anticomunismo e alla fedeltà verso il re che li accomunavano. Ad esempio, in Ciano protettore dell'aborrito Cavallero era vista, dice l'autore, "una specie di idea platonica della corruzione". Quasi tutti, anche i più fascisti, biasimavano l'incapacità di Mussolini nel gestire la guerra: era il duce, non solo con il malcostume delle raccomandazioni, ma anche per le sue decisioni tutte politiche, assunte all'insegna dell'avventurismo, che stava mandando l'esercito allo sbaraglio. Peraltro, nemmeno agli ufficiali può riconoscersi una conduzione cristallina della guerra. Osti Guerrazzi analizza infatti alcuni misconosciuti versanti della nostra storia militare. Come la rivalità fra l'esercito e la milizia, cui spettava vigilare contro i nemici interni e solo occasionalmente venire impegnata in scontri campali (né a Guadalajara figurò granché bene). Oppure i crimini compiuti in Slovenia. Gettando opportunamente un colpo d'occhio sul dopoguerra, si sottolinea l'assenza di spirito autocritico allora manifestata da non pochi ufficiali, soprattutto Berardi e Messe (che poi divenne senatore Dc). Daniele Rocca
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