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La mia eterna curiosità verso il nuovo che può affacciarsi e in qualche modo agitare il vento letterario o saggistico qui nella mia città, la fiducia e l'amore verso ciò che può essere favorito e degno di attenzione oltre gli strali faciloni e i qualunquismi provinciali sempre più arcaici, oltre i miseri voli degli avvoltoi dell'invidia, la magra coscienza borghese che in maggioranza persevera a rincorrere l'ovvio, il gesto svogliato e quasi elemosinante del libro acquistato perché l'amico autore altrimenti si offende, le permalosità variegate che scandiscono col loro buio nelle tempie giudizi alla buona, in chi pubblica e in chi legge...insomma tutte queste ragioni mi hanno portata ad acquistare il libro di Stefano Donno. Lo avevo visto in qualche apparizione televisiva qua e là, mi sembrava lodevole o almeno passabile in mezzo al ciarpame scontato che fluisce inarrestabile fra le feritoie degli esercizi di creatività, diciamo così. Ebbene, l'autore mi perdonerà, questo libro è di una totale inconsistenza; sembra - e credo lo sia davvero a questo punto - la vetta bassissima del narcisismo peggiore di cui può essere capace chi scrive. L'ombelico allo specchio, per essere clementi. Versi di una tale flaccidità, di un banale sommerso nelle sabbie mobili del penoso, del prevedibile, del brutto, diciamo la verità finalmente. Mancano di umiltà e di senso, somigliano tanto a una scorticata smisurata sete vanesia da atterrare senza possibilità di requie ogni attenuante a favore dell'autore. Ora, uscendo davvero da una prova di concretezza vissuta, avendo letto un lavoro simile, posso davvero consegnare queste parole alla certezza di una stroncatura solenne; piccola e modestissima, ma sentita e incontrovertibile. Donno sarà anche un buon operatore culturale - e allora operi e basta - ma non venitemi a raccontare che questi sono versi di un inimmaginabile poeta perché davvero, a quel punto, devo credere di abitare in una povera stalla decrepita senza minimi valori.
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