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“Filosofo della crisi”, “filosofo dell’ebraismo”: ecco le due più ricorrenti immagini, specularmente opposte, che negli anni Ottanta sono state attribuite a Walter Benjamin. Ora invece si manifesta l’esigenza di una presentazione che colga il più possibile unitariamente l’originalità e la poliedricità del pensiero di Benjamin, senza la fretta di catalogarlo o assimilarlo esclusivamente al marxismo, all’ebraismo o al postmoderno. Rileggendo i testi benjaminiani secondo i punti focali della simbolicità, del mito, dell’onirismo, della memoria, del moderno, pare profilarsi il disegno di un’antropologia dall’acceso tenore impolitico. Il presente saggio dà ampio risalto a quegli “uomini tedeschi“ che Benjamin, spesso nascostamente, predilesse nelle sue letture (Usener, Warburg, Creuzer, Bachofen, Klages). Ascoltare gli intrecci e le sovrapposizioni momentanee di tali voci significa coglierne il richiamo a una nuova umanità.
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