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Il neofascismo ritorna, in Italia e in Europa, in forme ingannevoli, mutevoli, capace di adattarsi al pari di un camaleonte. Da un classico nero e un inquietante grigio.
Obbligato per decenni ai margini del dibattito politico per il suo apparente anacronismo, il neofascismo, nelle sue diverse declinazioni storiche, ha invece riassunto oggi le vesti di uno scomodo convitato. Non è il ritorno a vecchie organizzazioni che si erano incaricate di raccogliere, in età repubblicana, il lascito mussoliniano. Men che meno degli spettri, mai del tutto dissoltisi, di quest'ultimo. Semmai assistiamo a una riformulazione culturale e antropologica della sua attualità in quanto sistema di rapporti e relazioni politiche per i tempi a venire. L'asticella non è rivolta al passato bensí al futuro. Se le società europee si trasformano dinanzi all'incalzare della globalizzazione, cosí come nella secca riconfigurazione della stratificazione sociale, il neofascismo del presente è in grigio: si propone come il soggetto che intende difendere la «differenza»: nazionale, etnica, in prospettiva razziale. Tanto piú in età pandemica, nella crisi delle democrazie sociali.
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