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Le fonti principali usate dagli autori per la ricognizione dell'antifascismo parmense in epoca fascista sono le carte del casellario politico provinciale della locale questura e quelle del casellario politico centrale di Roma. Con queste carte è stato possibile realizzare un'anagrafe con 2.760 schedati. La ricognizione ha permesso di definire la dimensione del fenomeno sul territorio urbano e provinciale, l'origine e la provenienza sociale degli antifascisti, le classi d'età coinvolte, la divisione secondo genere, il grado e il tipo d'adesione alle organizzazioni clandestine, le funzioni esercitate, e i diversi percorsi individuali delle persone coinvolte. Il libro, scritto a più mani, si apre con un capitolo storico introduttivo di Mario Palazzino su antifascismo e stato poliziesco, che mette in luce come a Parma, più che altrove, il passaggio dal regime liberale al sistema di potere fascista si manifestò con una rottura netta nella direzione di una maggiore stretta repressiva. Il ricordo delle barricate, che nell'agosto del 1922 avevano fermato le squadre di Balbo, indusse Mussolini a emanare misure straordinarie in materia di ordine pubblico. Nei capitoli successivi William Gambetta tratta dell'antifascismo popolare urbanisticamente contrapposto a quello cittadino. La sede di quell'antifascismo è nel rione dell'Oltretorrente, dove erano stanziate le classi povere. Marco Minardi si sofferma sulla presenza di un antifascismo democratico-borghese di matrice laico-progressista con ascendenze risorgimentali. Margherita Becchetti e Ilaria La Fata descrivono invece l'antifascismo della provincia, mettendo in luce il variegato tessuto dell'associazionismo di derivazione prampoliniana e il movimento sociale d'ispirazione cattolica. Conclude il libro il saggio di Brunella Manotti, che esplora il rapporto donne-politica.
Diego Giachetti
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