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In una lettera del 1826 alla "Biblioteca Italiana" il patriota Giuseppe Compagnoni, riferendosi agli eruditi parmigiani Ireneo Affò e Angelo Pezzana, scriveva: "E che è dunque la letteratura italiana, se si consacra a codesto frate un sì grosso volume? Peggio è da dirsi poi di quell'abate Pezzana, che ha scritto quel sì grosso e noioso volume con uno stile, con locuzioni e con vocaboli, che la sola infinita misericordia di Dio può a lui perdonare". È solo un esempio, fra i molti, della vivacità e degli umori polemici che attraversano il carteggio pubblicato da Franco Della Peruta, storico del Risorgimento e dell'editoria ottocentesca. La rivista "Biblioteca Italiana", nata nel 1816 "grazie anche al sostegno finanziario del Governo di Lombardia", che intendeva servirsene come strumento di "consenso", si trasformò nell'organo ufficiale dell'Istituto lombardo di scienze e lettere fra il 1838 e il 1841, continuando le pubblicazioni fino al 1859 e al tramonto della dominazione austriaca. Il ruolo squisitamente accademico ed erudito del periodico, sotto il controllo politico della presidenza del governo, non gli impedì di svolgere un ruolo di "crocevia", diventando punto di riferimento per la cultura della Restaurazione. Nel carteggio ritrovato nell'archivio dell'Istituto ricorrono così i nomi di Silvio Pellico e Cesare Cantù, ma anche di editori come Giuseppe Bocca, Giuseppe Pomba e i fratelli Vallardi; e non mancano riferimenti ad artisti (Pelagio Palagi), economisti (Melchiorre Gioia) o scienziati (Alessandro Majocchi, Francesco Carlini), in omaggio a un'ideale "repubblica delle lettere" ben nota alla stagione illuministica. Il nome dell'egittologo francese Jean-François Champollion, a cui la "Biblioteca" dedica un articolo nel 1829, è davvero l'emblema di questa vocazione internazionale del sapere.
Rinaldo Rinaldi
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