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Pura poesia...
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Nella Cina seicentesca, dove l'irreversibile scricchiolio della dinastia Ming è commisurato a crescenti disordini e insurrezioni, un monaco taoista abbandona la quiete del proprio monastero e scende nell'animato borgo di Bai-he. Lo spinge il desiderio di incrociare lo sguardo di una donna dall'abito cremisi, che lo aveva stregato trent'anni prima. A credere alla prefazione di questo romanzo, François Cheng (scrittore che ha lasciato la Cina nel 1949 e da allora vive in Francia dove è membro dell'Accadémie française) proporrebbe l'essenza del Racconto dell'uomo della montagna, testo manoscritto cinese del XVII secolo, in cui lo scrittore afferma di essersi imbattuto nel corso di uno dei suoi soggiorni di studio. L'idea che un intreccio venga da lontano ne accresce indubbiamente il fascino. Il monaco protagonista è Dao-sheng, che esercita la fisiognomonia, è esperto nella divinazione e ha un passato da girovago e da ergastolano (per non essersi sottratto a quel fatale incontro di sguardi). Lei è Lan-ying, qualche filo d'argento tra i capelli e un matrimonio infelice alle spalle. Si ritrovano e tra loro si rinnova un amore capace di promettersi per l'eternità, spiritualissimo, mai indulgente verso i sensi, raffinato dall'incrocio sincretistico di taoismo, buddismo e cristianesimo (riconoscibile, quest'ultimo, nell'opera di un "forestiero", che altro non è se non un sacerdote gesuita). La lettura però non sempre procede spigliata, perdendosi nelle contemplative descrizioni dell'autore così come in prevedibili dialoghi o miracolose guarigioni. Intanto, anche da vicende secondarie, risaltano per il loro magnetismo aforismi e lezioni di saggezza orientale.
Rossella Durando
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