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Scriveva oltre trent'anni fa Federico Zeri che dopo la "partecipazione (…) dell'Italia alla vita culturale europea grazie al veicolo del Grand Tour anch'essa era cessata" (La percezione visiva dell'Italia e degli italiani, Einaudi, 1976). Se la mostra di Siena (presso il complesso museale di Santa Maria della Scala, ottobre 2007 - gennaio 2008), accompagnata da un catalogo che ha il pregio di essere esauriente ma non prolisso, ha avuto un grande merito, è stato proprio quello di smentire Zeri e tutti coloro che nel secolo scorso espressero pareri impietosi nei confronti dell'arte italiana dell'Ottocento (uno su tutti, Roberto Longhi), dimostrando che l'isolamento dei centri artistici italiani durante l'età risorgimentale è, a ben vedere, un mito da sfatare. Ci avevano già pensato Stefano Susinno e gli amici che raccogliendone il testimone diedero corpo al suo ultimo progetto, Maestà di Roma da Napoleone all'Unità d'Italia (Electa, 2003), a indicare la strada da percorrere per la rimozione di quest'annoso pregiudizio. E prima ancora Enrico Castelnuovo si era domandato se non fosse saggio proposito "abbandonare o addirittura rovesciare i giudizi di Longhi" (La pittura in Italia. L'Ottocento, Electa, 1990).
Mentre nuove e sempre più radicali convinzioni di identico tenore si sono andate sedimentando nel tempo, ora è arrivato al traguardo quest'importante studio sull'Ottocento senese dove, attraverso i saggi di apertura dei curatori e quelli introduttivi alle singole sezioni a firma di autorevoli esperti, nonché un'accurata selezione delle opere esposte, ci viene spiegato come anche in un centro di dimensioni contenute come Siena fu possibile alla metà del secolo creare una scuola che si prefiggeva di dialogare, competere e guardare oltre (con ambizioni non prive di fondamento) a ciò che stava accadendo nel resto del paese e del continente.
Così, in ragione dell'intraprendenza personale del direttore dell'Istituto di Belle Arti, il pittore nato a Berlino, però di fatto toscano, Luigi Mussini, ed evidentemente grazie anche al concorso del milieu culturale cittadino in cui l'artista trovò terreno fertile, si diede vita a Siena a un tentativo di gareggiare con le accademie d'arte più rinomate d'Europa. Scommessa adeguatamente messa in atto attraverso la ferrea disciplina di studio imposta da Mussini, come testimonia il cospicuo numero di disegni preparatori di eccezionale accuratezza, palesemente ispirati ai cartoni dei maestri del Rinascimento, da considerare alla stessa stregua come opere "finite" per la straordinaria perizia tecnica con cui vennero eseguite.
Un esperimento rispettabile soprattutto per gli esiti raggiunti dagli allievi. I picchi qualitativi più alti sono riscontrabili infatti non soltanto nei celebri dipinti del maestro (in particolare Musica Sacra, Trionfo della verità, Eudoro e Cimodoce), ma pure in quelli dei numerosi seguaci di talento, per la gran parte riscoperti in quest'occasione. Se tra i nomi noti figuravano Amos Cassioli, Cesare Maccari e Pietro Aldi, è altresì vero che alcune figure erano in buona sostanza sfuggite agli studi. Per di più, di autentica e piacevolissima epifania si è trattato a riguardo delle opere di Alessandro Franchi e Angelo Visconti, che non solo non hanno nulla da invidiare ai compagni di corso, ma nemmeno temono il confronto con i contemporanei francesi ben rappresentati in mostra, pur assai più quotati al giorno d'oggi. Pazienza se convincere gli scettici del carattere cosmopolita dell'arte italiana ottocentesca è impresa a tratti ancora improba: vale comunque la pena di ringraziare gli autori per lo sforzo compiuto.
Saverio Ricci
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