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Nel regno oscuro è un viaggio interiore duro, doloroso, attraverso un territorio mentale ibrido, in cui si mescolano le ferite precipue del protagonista con quelle del grandioso e tremendo novecento. La storia personale del protagonista viene mutata dall'incontro interiore con i resti parlanti di alcuni dei protagonisti del secolo, che da vittime o da carnefici hanno bagnato di sangue la terra. Questa di Pressburger è un'opera intensa e potente, non esente però da difetti: il mondo viene giudicato da un'unico implacabile punto di vista che non concede a molti dei protagonisti storici una possibilità di replica, un capovolgimento di prospettiva che possa indicare una maggiore complessità del mondo. Un esempio su tutti è quello di Jung, ridotto al silenzio da un'accusa implacabile. In fondo però questo è soltanto un peccato per certi versi marginale perchè la linea interiore del racconto del protagonista è profonda, coinvolgente e mai banale. Non ci sono gironi in questo sterminato deserto che spesso assume carattere di inferno ma esiste soltanto la vastità di un viaggio che potrebbe prendere infinite vie. Esattamente come ogni vero viaggio interiore, la via viene scavata passo dopo passo per poi cancellarsi alle spalle. Il protagonista ha "scelto" questo percorso per arrivare a parlare nuovamente con i propri morti e infrangere, per un istante, l'odioso muro che li divide.
Una sorta di Divina Commedia dei poveri. Più un Bignami di storia contemporanea che un romanzo. L'artifizio poteva anche essere interessante, ma poi tutto si riduce a un'interminabile galleria di personaggi ed eventi del secolo scorso, da quelli più grandiosi (nazismo e comunismo, Hitler, Stalin, Mussolini, Rosa Luxembourg, etc...) fino a Enrico Mattei, Calabresi, Pinelli e... (!) Saverio Vertone: con tutto il rispetto, un salto niente male. Lo stile narrativo è monocorde, sempre uguale a se stesso, sembra un'esposizione narcisistica di un autore che tiene a far sapere quanto è colto e quali sono i suoi giudizi sull'universo intero! Ci si perde, ad essere franchi. Peccato, mi aspettavo molto di più da un personaggio eccelso come Pressburger. Sono rimasto deluso, molto deluso. Non ho trovato il senso di un'opera del genere. Non ho trovato il motivo per cui debba essere letta. Me ne farò una ragione.
Visionarie sedute di psicoanalisi compongono una Umana Commedia attraverso le singole apocalissi personali di grandi tormentati (poeti e artisti morti suicidi) e i massacri del secolo passato (la Shoà su tutti). Un malinconico e oscuro racconto morale (nel senso alto e antico del termine). L'apparato di note, saggio nel racconto, reminescenza metaletteraria del '900, interessante esperimento che distoglie però dall'emozione della narrazione. Bel romanzo che lascia affranti per l'irreparabilità di antiche catastrofi e la nostalgia di spiriti tanto immensi ed assoluti maestri.
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