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Anno edizione: 1985
Anno edizione: 2019
Questo libro, di cui presentiamo la prima traduzione al mondo, si apre sugli anni del primo Novecento russo. Era il momento di una equivoca ed esaltante mescolanza fra arte e vita: «Tutte le strade erano aperte, con un solo obbligo: andare quanto più possibile veloce e lontano. Questo era l’unico, il fondamentale dogma. Si poteva esaltare Dio come il Diavolo. Si poteva essere posseduti da qualsiasi cosa, entità: l’importante era la pienezza della possessione». Tutto andava offerto sull’altare delle emozioni. «Cogliamo gli attimi distruggendoli» disse Brjusov, gran sacerdote del simbolismo. C’era la posa teatrale e c’era il colpo di pistola. «“Perdo succo di mirtillo!” gridava il pagliaccio di Blok. Ma il succo di mirtillo talvolta si rivelò sangue vero».
Chodasevic era allora un giovane poeta, dal segno elegante, dall’aria morbosa, dall’intelligenza acutissima. Oggi sappiamo che era un astro nella costellazione dei grandi poeti russi malmenati dalla storia, accanto alla Achmatova, a Mandel’štam, alla Cvetaeva, a Pasternak, anche se la sua opera solo ora comincia a essere scoperta. «Nell’aria afosa, come prima dei temporali, di quegli anni», troppo colmi di presagi (il suo amico Muni ne era così ossessionato che arrivò a dichiarare: «I presagi sono aboliti»), Chodasevic visse la nascita caotica della letteratura moderna in Russia. Si conoscevano tutti, percepivano miserie e incanti gli uni degli altri, avevano passioni per le stesse donne, litigavano, bevevano, perdevano al gioco. Poi venne la guerra, venne la rivoluzione, ai poeti cominciarono ad accompagnarsi i delatori. Pietroburgo appariva come «una città morta, sinistra». Nel 1922 Chodasevic riuscì ad abbandonare la Russia, non senza aver esortato i suoi amici nelle «ultime ore prima della separazione» a concordare i segnali «da scambiarsi nella tenebra che incombe». Da allora sino alla morte si può dire che non abbia assistito che all’estendersi, intorno a lui, di una sterminata «necropoli». Morivano uno dopo l’altro, suicidi, o assassinati o ridotti al silenzio. E uno dopo l’altro sfilano in questo libro: da Brjusov a Blok, da Esenin a Sologub, da Belyj a Gor’kij. Chodasevic non riesce a parlare di questi scrittori senza darci anche un giudizio penetrante sulla loro opera, ma non riesce a parlare della loro opera senza evocare la loro presenza, il loro gesto, spesso il loro convivere con le più ingombranti contraddizioni. Erano tutti personaggi di un immenso «romanzo russo», e come tali qui ci appaiono. Oscillavano tutti fra estremi, e riuscivano talvolta a mascherarne la natura. Come per Sologub, di ciascuno era difficile dire «da dove è partito e dove è arrivato, se dal sacrilegio alla preghiera o viceversa, dalla benedizione alla maledizione o viceversa». Crudele e commosso, questo libro è un salvataggio nella memoria dell’ultima grande letteratura russa, operato da uno dei suoi protagonisti, prima che la «necropoli» inghiottisse anche lui. Come scrisse lo stesso Chodasevic: «In un certo senso la storia della letteratura russa potrebbe essere definita la storia della distruzione degli scrittori russi».
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Il giovane poeta Chodasevič, definito il Landolfi russo, ha la capacità, con la sua penna di farti entrare nei deliri e nel disfacimento di un'intera generazione d'intellettuali, che ho trovato molto interessanti, sia dal punto si vista storico, sia umano e letterario. Fra simbolismo e decandentismo, esoterisno, antropocentrismo etc... questo memoriale, queste brevi biografie - "nove stazioni attraverso il secolo" - rendono testimonianza degli inquieti moti di anime e del pensiero intellettuale di molti russi - alcuni noti, altri meno - e della loro morìa. Necropoli è una galleria di ritratti che racconta la generazione perduta dei poeti russi all'alba del Novecento, un secolo che ha tanto segnato la creatività e la produzione industriale e umana; davvero un libro maestoso. Consiglio.
Fra simbolisti, decandentisti, occultisti, demonisti, acmeisti e antroposofi, questo memoriale, queste brevi biografie - "nove stazioni attraverso il 'secolo belva'" - rendono testimonianza degli inquieti moti di anime e di russi intelletti - alcuni noti (Gor'kij su tutti), altri meno, molti a me sconosciuti -, e della loro morìa: "In un certo senso la storia della letteratura russa potrebbe essere definita la storia della distruzione degli scrittori russi." Uno di loro, il giovane poeta Chodasevič (definito il Landolfi russo), mi ha introdotta nei sogni, nei deliri e nel disfacimento di un'intera generazione d'intellettuali, che da neofita e pressoché digiuna di quel mondo, ho trovato molto interessanti, sia dal punto si vista storico-politico, sia umano e letterario. "Attraversammo gli anni dopo il 1905, gli anni della stanchezza spirituale, dell'epidemia di estetismo. In letteratura, sulle orme della scuola modernista che di colpo aveva ricevuto il riconoscimento generale proprio per quanto aveva di più inconsistente e mediocre, si trascinavano schiere di imitatori di bassa lega. In società, gracili signorine scalze risuscitavano l'ellenismo." Per chi ama questa robetta qui, molto prezioso.
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