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La grande editoria italiana non smette mai di stupire, continua a ignorare autori di lingua tedesca del calibro di Josef Winkler, austriaco classe 1953 e vincitore di prestigiosi premi. Winkler è apprezzato dalla critica anche in Francia e in Spagna, ha pubblicato dodici volumi presso Suhrkamp, il primo editore della Germania. Tanto più meritevole è la bella traduzione della novella Natura morta di Luigi Reitani nella collana "Oltre" della piccola casa editrice udinese Forum.
Sono quasi trent'anni che Winkler si aggira intorno ad alcuni temi: l'omosessualità, l'universo contadino patriarcale, il cattolicesimo sontuoso e repressivo, la morte e i morti. Eros e Thanatos sono di casa nelle sue opere dissacranti, nei suoi ibridi libri a metà strada tra esibizionismo egocentrico e impegno morale. Scrittore brillante e acuto osservatore, Winkler in quasi tutti i suoi testi si espone in prima persona scrivendo con una radicalità simile a quella dei suoi modelli: Jean Genet e Pier Paolo Pasolini.
Natura morta il titolo è identico nell'originale allude sì al genere pittorico, ma la vicenda è anche una "grandiosa allegoria della caducità", come scrive Reitani nella sua lucida postfazione. Questa "novella romana" contiene molti elementi della narrativa di Winkler, ma qui manca il solito io narrante che domina in modo piuttosto egocentrico i suoi romanzi, come Friedhof der bitteren Orangen (Cimitero delle arance amare, 1990) ambientato in gran parte in Italia, nelle catacombe di Palermo, in un cimitero di Napoli, nei dintorni del Vaticano e in mezzo al frastuono del popolare mercato di piazza Vittorio Emanuele a Roma. D'altra parte, Natura morta si configura come una costola di quel ponderoso romanzo, nel quale si trovavano già alcuni dei personaggi e molte immagini raggruppate poi nella novella in un esuberante quadro di vita e di morte a Roma.
La trama di questo breve libro è minima, domina invece la descrizione minuziosa e quasi pittorica di dettagli della vita quotidiana in alcuni angoli affollati della metropoli. Al centro vive il giovane protagonista, il sedicenne Piccoletto, ragazzo di vita e venditore di pesce a piazza Vittorio (il mercato variopinto che da alcuni anni non esiste più), figlio di una fruttivendola e oggetto di desiderio del suo datore di lavoro, il "grasso pescivendolo" di mezza età soprannominato Frocio. Piccoletto accetta in parte il greve gioco omosessuale del suo datore di lavoro, ma non disdegna neanche le avventure con le ragazze. Al culmine della storia Piccoletto viene travolto da un camion dei vigili del fuoco e Frocio tiene fra le braccia il corpo senza vita del suo amato una Pietà secolarizzata con gusto blasfemo portandolo attraverso tutto il fragore e la sporcizia radiosa del mercato. Ecco "l'evento inaudito" che secondo Goethe è indispensabile per una novella classica.
L'esile intreccio è contrastato da una straordinaria opulenza nello scenario che circonda gli scarni avvenimenti: il mercato appare come un immenso tableau vivente, un gigantesco dipinto dai colori sgargianti, pieno di frutta e verdura, bellezza e sudiciume, strabordante dei corpi vitali degli umani e di quelli morti degli animali. Con grande abilità Josef Winkler abbina un iperrealismo visivo con un virtuosismo linguistico che si manifesta in costruzioni sintattiche seriali da capogiro, frasi talvolta lunghissime che però mantengono sempre la loro nitidezza e un ritmo melodico. In questo mestiere dello scrivere complicato e allo stesso tempo cristallino, Winkler è sicuramente debitore di Thomas Bernhard, suo compaesano e caparbio cultore dell'arte della frase (quasi) infinita.
Una parte della novella è ambientata nei dintorni della Basilica di San Pietro, tra la folla di pellegrini, mendicanti e turisti, fra negozi e bancarelle che offrono i soliti oggetti kitsch religiosi. Piccoletto si aggira anche lì, in cerca di avventure, impegnato in un gioco di sguardi con una ragazza, la quale potrebbe vedere se avesse l'occhio fotografico del narratore "attraverso le mutande dal taglio troppo ampio i testicoli leggermente ricoperti di peluria e i peli del pube sulla pelle chiara dell'inguine". La carne domina ovunque, anche a pochi passi dal papa e dal centro spirituale dell'universo cattolico con i suoi simboli fastosi che Josef Winkler aveva già descritto con puntigliosa ossessione in altri libri. Lo sguardo del narratore penetra nella Basilica, scruta la folla e i riti dei devoti, i confessionali con le scritte nelle varie lingue, le tracce minuscole ma eloquenti: "La polvere lasciata dalle suole delle scarpe era pochissima dinanzi al confessionale tedesco, meno che davanti a quello inglese o italiano, mentre la polvere più consistente si trovava davanti a quello polacco."
Josef Winkler, che in tempi lontani ha trascorso due anni a Roma, non punta però a un realismo sociologico, anche se non mancano osservazioni precise sulla vita quotidiana e riferimenti alla realtà italiana. Non si dice in che anno si svolge Natura morta, ma da alcune allusioni si può dedurre che si tratti dell'estate del 1992. Vengono ripetutamente menzionati i "profughi di guerra bosniaci", oltre alle ragazze zingare onnipresenti, che, più o meno tollerate dal popolino romano, fanno i loro piccoli commerci illegali al mercato. Tutte queste singole immagini compongono il grande affresco nel suo caotico movimento, e all'autore interessa soprattutto la coreografia della vitalità e della miseria umana. Ma anche ogni dettaglio è un piccolo quadro a se stante, come l'episodio della giovane turista tedesca che ha appena finito di mangiare una banana al mercato e non sa dove mettere la buccia. Nonostante la sporcizia che impera ovunque, esita a buttarla via e infine la poggia con molta cautela in cima a un cumulo di rifiuti. Qui Winkler si rivela anche un fine psicologo, un provetto pittore delle anime umane. Franz Haas
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