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Nel 1999 Francis Haskell, invitato a tenere le Lezioni Comparettiane della Scuola Normale Superiore di Pisa, vi presentò la ricerca che stava allora concludendo sulle origini e sui significati delle mostre di "antichi maestri". Le sei conferenze furono pubblicate dalla Scuola nel 2001, a cura di Tomaso Montanari, con il titolo Antichi maestri in tournée. Nel 2000, frattanto, era uscita in inglese una versione più completa della stessa ricerca, curata da Nicholas Penny dopo la scomparsa di Haskell; quest'ultimo volume è oggi disponibile in italiano grazie alle edizioni Skira. Perduta la freschezza delle lezioni della Normale, punteggiate dai dubbi che sempre accompagnano la ricerca storica, il saggio è stato reso più organico ed è arricchito dalle note e dall'indice dei nomi. I segni di un lavoro non del tutto finito dall'autore rimangono visibili in alcune parti, come nella successione non sempre lineare degli eventi narrati, ma il valore del libro e la fecondità di questo indirizzo di studi sono dimostrati dai molti lavori che ad esso si sono ispirati, tra cui si possono citare il bilancio di cinquant'anni di mostre bolognesi curato da Andrea Emiliani e Michela Scolaro (L'arte. Un universo di relazioni, Rolo Banca, 2002) e la raccolta di saggi su un secolo di esposizioni d'arte medievale a cura di Enrico Castelnuovo e Alessio Monciatti (Medioevo/Medioevi, Edizioni della Normale, 2008).
La capacità dell'autore di tracciare linee maestre in cui gli studi successivi possano collocarsi è rimasta immutata nel tempo. Come già nel celebre Mecenati e pittori del 1963 (Allemandi, 2000), l'originalità della direzione intrapresa da Haskell nasce dall'individuazione non di un nuovo oggetto di studio, bensì di un nuovo punto di vista: nel 1963 si era proposto di studiare le opere dei pittori nel loro rapporto con committenti e collezionisti; con La nascita delle mostre ci invita a seguire, attraverso l'evoluzione delle esposizioni, i cambiamenti occorsi nei modi di vedere e di usare i quadri nella società europea dal XVII secolo a oggi. Le mostre romane del Seicento e del Settecento sono presentate come un primo esempio di esposizione che si discosta poco dalla celebrazione religiosa; in seguito, dopo gli esperimenti innovativi di Pahin de La Blancherie a Parigi, tra Sette e Ottocento si conoscono in Inghilterra grandi esposizioni di quadri in vendita e in Francia mostre celebrative delle vittorie napoleoniche; il ritorno in Italia delle opere sottratte da Napoleone diede origine, a sua volta, a esposizioni pubbliche. Negli stessi anni, a Londra, la British Institution organizzò le prime mostre regolari di quadri antichi destinate alla formazione dei pittori; nel corso dell'Ottocento gli storici dell'arte iniziarono a intervenire nella selezione delle opere da esporre e nella stesura dei cataloghi.
Haskell non trascura il ruolo della fotografia, citando ad esempio la mostra curata da Adolfo Venturi nel 1894 a Londra, Opere della scuola di Ferrara-Bologna, che comprendeva, oltre ai dipinti, non meno di duecentocinquanta riproduzioni. Infine, nella prima metà del XX secolo, alcune mostre memorabili furono piegate al servizio dei nazionalismi, con l'obiettivo di dimostrare la precedenza o la primazia della scuola pittorica di ogni paese rispetto a quelle degli altri. Un intrico di motivazioni, di conseguenze e di casualità si assembra, tuttavia, a monte e a valle di ogni mostra: celebrazione religiosa e acume critico si incrociavano già a Roma a fine Seicento, mentre il nazionalismo poté dar vita, involontariamente, a seri studi storici. Inoltre, qualsiasi mostra importante, quali ne siano i moventi, ha sempre un impatto sulla critica, sul gusto, sul collezionismo, sul mercato, sui musei, sul restauro e (talvolta) sulla produzione artistica.
L'attualità del dibattito sulle funzioni delle esposizioni è testimoniata da un recente documento pubblicato dall'associazione museale Icom-Italia, Mostre-spettacolo e musei (www.icom-italia.org; "Il Giornale dell'Arte", luglio 2008). Ma se è vero, come scrisse Haskell nel 1990, che "le mostre crescono a spese dei musei, così come i musei crescono a spese delle collezioni private", è vero altresì che questi cambiamenti possono essere considerati, in un'ottica storica, come un aspetto del naturale evolversi delle società. Nel condurre il lettore sino agli sviluppi contemporanei del fenomeno, Haskell non rinuncia però a deprecare il ricorso eccessivo alle mostre, specialmente quando queste privano i musei di opere, spazi e risorse intellettuali, quando mettono in pericolo gli oggetti e infrangono le disposizioni testamentarie dei donatori a fronte di un'utilità non sempre evidente né per gli studi, né per il pubblico. Nicola Prinetti
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