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Narciso alla fonte. La fiaba d'arte romantica - Hans Schumacher - copertina
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Narciso alla fonte. La fiaba d'arte romantica
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Narciso alla fonte. La fiaba d'arte romantica - Hans Schumacher - copertina

Descrizione


Narciso alla fonte è un libro costantemente citato in tutti gli studi che si occupano della fiaba d’arte romantica, sì da costituire un imprescindibile punto di riferimento per chi voglia accostarsi all’argomento. La tesi forte, su cui fondano l’originalità e l’attualità del lavoro di Schumacher, è costituita dall’individuazione della costante ripresa del mito nei testi esaminati: fiabe di Novalis, Wackenroder, Tieck, Brentano, Hoffmann, Chamisso, Fouqué e Eichendorff. Si tratta di un mito «riflesso», recuperato ad arte, con cui si confronta, come uno specchio, il soggetto borghese, il novello Narciso di quelle narrazioni. L’introduzione di Margherita Versari offre, oltre a un aggiornamento bibliografico, una proposta di ricostruzione degli snodi poetologici e filosofici essenziali che hanno costituito la premessa allo sviluppo della fiaba d’arte romantica in Germania.

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Dettagli

1996
1 gennaio 1996
300 p.
9788880913191

Voce della critica

SCHUMACHER, HANS, Narciso alla fonte. La fiaba d'arte romantica
COLLINI, PATRIZIO, Wanderung. Il viaggio dei romantici
recensione di Schiavoni, G., L'Indice 1997, n. 3

Due recenti lavori arricchiscono la comprensione della letteratura romantica tedesca: si tratta della traduzione di un libro di Hans Schumacher del 1977, costantemente citato in riferimento alla "fiaba d'arte" ("Kunstmärchen*), e della ristampa di un lavoro di Patrizio Collini sul motivo del viandante ("Wanderer"), scarsamente indagato dalla letteratura critica che si occupa di tale produzione.
Schumacher, che è stato professore di germanistica alla Freie Universität di Berlino fino al 1991, individua nella fiaba d'arte romantica la ripresa costante di tematiche mitologiche. Tema di fondo della presenza di questo genere letterario nei vari autori cui vengono dedicati altrettanti densi capitoli (Novalis, Wilhelm Wackenroder, Ludwig Tieck, Clemens Brentano, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Adalbert von Chamisso, Friedrich de la Motte-Fouqué, Joseph von Eichendorff) sarebbe l'utilizzo ad arte del cosiddetto "mito", un mito "riflesso", con il quale si confronterebbe come in uno specchio - in quanto soggetto borghese - il novello "Narciso alla fonte", l'eroe moderno delle fiabe "culte" tanto amate in area romantica.
Il motivo di Narciso risulta indubbiamente felice. Esso infatti è anzitutto metafora dell'artista romantico ("I poeti son pur sempre narcisi", affermò una volta August Wilhelm Schlegel) consapevole della propria scissione rispetto all'"origine", dunque specchio del soggetto borghese che - appunto in quanto tale - "resta impigliato nella logica dello scambio, prendendo per realtà la sua immagine allo specchio, e non riesce a risalire all'idea" (come ricordato da Margherita Versari nella preziosa introduzione al volume). Esso però testimonia anche i margini di inganno, di artificiosità e di solipsismo presenti nell'atteggiamento di chiunque (e in primo luogo l'artista) intraprenda un percorso "à rebours" alla ricerca di fantomatiche "origini" (o di un'età dell'oro, di cui le fiabe tendono a offrire la rappresentazione) che, nella migliore delle ipotesi, si configura come rimossa. Sicché la fiaba d'arte romantica specialmente di Brentano e Hoffmann, assai più smaliziata e consapevole di quanto non siano le fiabe nell'ottica "völkisch" e nazionale di Görres o dei fratelli Grimm, non può far altro che prefigurare in molti casi la situazione tragica, la dolorosa scissione rispetto a uno stato d'innocenza e di felicità che non è dato nel quotidiano, il solitario narcisismo e solipsismo dei protagonisti, come ben ricordato da Margherita Versari nell'introduzione al volume.
Quella che viene a dipanarsi nello studio di Collini è invece la nuova fenomenologia del viaggiare che si dischiude in area romantica. Se in un classico come Goethe il viaggiatore (nella fattispecie nel vagabondaggio formativo di Wilhelm Meister) si muove in esplorazione sempre sorretto dalla ricerca di un "senso" e di una meta (sia pure ammannita provvidenzialmente) che cancella l'imprevisto e gli accadimenti del mondo nella loro variegata e problematica densità, con la "Wanderung" romantica affiora il gusto del viaggiare in sé. È l'affermarsi di quello che Nietzsche avrebbe chiamato "il piacere del navigante", la "voglia di cercare, che spinge le vele verso terre non ancora scoperte". Il viaggiatore romantico, che ha rinunciato alla meta e alla benevola prospettiva di un provvidenziale appagamento, è in grado di affrontare "vis à vis" l'indecifrabilità del destino, restando libero dai cascami della speranza e da illusorie (e protettive) promesse di pacificazione con il mondo.
Qui è la forza - secondo Collini - del rendersi viandanti in epoca romantica. Non più viaggiatore, ma viandante per amore della vita, affrancato da fini ultimi e svincolato da pretese di gratuita anarchia, il "Wanderer" respinge le prospettive escatologiche e salvifiche, affrontando con le sole proprie forze la casualità del mondo: "Nella "Wanderung" romantica iniziano a tacere le sirene del ritorno e della meta; quelli che per il viaggiatore sono meri interluoghi, luoghi di transito, tappe, stazioni, sono per il "Wanderer" tutto, mentre un'ombra luttuosa grava per lui su tutto ciò che è compiuto. È questo interregno che costituisce lo spazio della "Wanderung". È in questo spazio intermedio, in cui sono crollati templi e oracoli, che il "Wanderer" trova la sua patria, la vita".
Di questo nomadismo romantico, tema in un certo senso iconoclastico, vengono dapprima analizzate le radici, intraviste nella fase aurorale della "Romantik" (in testi celebri come "Franz Sternbalds Wanderungen* di Tieck e "Heinrich von Ofterdingen* di Novalis), e quindi proposti gli sviluppi sino agli esiti estremi. Questi estremi sarebbero rappresentati dai cicli liederistici di Wilhelm Müller "La bella mugnaia" e "Il viaggio d'inverno" (1820-24) e dal frammento narrativo del "Lenz" di Georg Büchner (pubblicato postumo nel 1839), nel quale il "già labilissimo impianto della "quête" romantica" verrebbe interamente dissolto. (Il solo testo - quest'ultimo - per il quale tuttavia, a causa della densità dei motivi" che vi si agitano, la pur suggestiva griglia interpretativa proposta da Collini rischia di risultare - francamente - troppo stretta).

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