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Anno edizione: 2007
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C'era una volta il camp: quella forma, spesso oltraggiosa e geniale, di contaminazione tra le altezze dell'estetica e le bassezze amatissime della produzione popolare, di cui Susan Sontag aveva genialmente spiegato riti e miti nel suo memorabile saggio contenuto in Contro l'interpretazione (1963). Di questo fenomeno, dalle risonanze fortissime in tutto l'Occidente, Gore Vidal era stato a buon diritto padrino negli Stati Uniti, da quando aveva risolutamente svelato le ossessioni iconografiche di una marchetta tennista in The City and the Pillar (1948), opera destinata a fare scandalo e a rimanere negli annali.
Oggi Fazi ripropone uno dei suoi romanzi capitali: Myra Breckinridge, del 1968, che riprende la traduzione d'antan di Vincenzo Mantovani (versione pubblicata da Bompiani nel 1969), con in copertina Raquel Welch, protagonista insieme all'epica Mae West, nelle vesti della assatanata talent scout Laetitia van Allen, del bizzarro film che Michael Sarne trasse dal libro nel 1970. L'eroina eponima è un concentrato di mondi dell'immaginazione: ogni suo gesto si alimenta di cinema, vive di rimandi alle avventure della Hollywood classica, senza disdegnare nemmeno rimandi alla televisione; a tutti gli effetti si presenta come un fantasma culturale, intenta a usare icone mitiche, come la "vaga Fay Wray". L'attrice, con i suoi capelli biondi e sbattendo gli occhioni, domava King Kong ed è evocata non a caso come modello finale di grazia anche dallo scienziato pazzo transessuale Frank'n'Furter nel Rocky Horror Picture Show (1975). Lo scopo dichiarato della voce narrante è infatti tenere a bada il maschio, che, come vuole la lapidaria apertura: "non la possederà mai".
La condizione primaria del personaggio è quella della metamorfosi, da uomo a donna, da carne a pellicola: ogni suo movimento è acquisizione di un altro elemento atto a dare corpo a un personaggio. Ogni nome nella storia è simbolico: per questo Buck Loner, l'ex celebrità del western che ha aperto un'accademia di recitazione a Hollywood, dove la protagonista è docente, evoca il dollaro, mentre Breckinridge, pur suonando pomposo, quasi fosse segnale dell'appartenenza al primo ceppo puritano che colonizzò il New England, allude anche a una decisa capacità di spezzare fisionomie (ridge è tra l'alto il setto nasale). Il viaggio è iniziatico: alla fine della storia tutti avranno cambiato realtà, come accade allo zotico Rusty Godowski, che dopo una violenta iniziazione omosessuale da parte della sua docente di recitazione, fiammeggerà nello star system con il nome di Ace Mann, mentre Myra diventa Myron (a lui lo scrittore dedicò un acido sequel nel 1974, non altrettanto incisivo), adottando insieme alla moglie Mary-Ann, star della televisione per bambini, il credo della Christian Science, per mettere ordine nel mondo.
La mecca dei sogni viene presentata in una chiave che è assai vicina agli esiti più dark di Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, in una struttura compositiva sapiente e efficacissima, in cui i ritmi sincopati del nouveau roman, evocato a più riprese, si incastrano con il meccanismo diaristico e con una micidiale riproduzione parodistica del flusso di coscienza nelle fluviali registrazioni su disco di Buck, che sembrano alludere anche agli esperimenti di narrazione behaviourista di Andy Warhol, che confluirono nel fluviale romanzo-conversazione A. Luca Scarlini
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