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recensione di Levi, F., L'Indice 1994, n. 8
Michele Sarfatti ha studiato con cura minuziosa gli atti e le prese di posizione di Mussolini contro gli ebrei nel periodo intercorso fra il febbraio e il novembre del 1938; questo non tanto alla ricerca delle più intime convinzioni del duce, quanto piuttosto nel tentativo di cogliere i diversi passaggi attraverso i quali egli giunse ad articolare in forma operativa il proprio esplicito intento persecutorio. L'impianto del lavoro è dunque inevitabilmente unilaterale, senza che tuttavia la linea di ricerca scelta con precisa consapevolezza e proposta con altrettanta chiarezza dall'autore, tutta orientata a delineare i successivi comportamenti del capo del fascismo, non sappia rendere conto anche degli altri punti di vista destinati via via ad avere un peso importante in tutta la vicenda: ad esempio quelli del re, del pontefice, dei più importanti gerarchi del regime, delle organizzazioni ebraiche italiane o ancora dei governi di altri paesi europei anch'essi impegnati negli stessi mesi a emanare provvedimenti di impronta antisemita.
Sulla base di una tale impostazione emergono alcuni risultati importanti: in particolare che la svolta antiebraica del fascismo italiano fu voluta in prima persona da Benito Mussolini; che egli redasse e revision• direttamente tutti i testi principali al riguardo, dando alla politica e alla normativa razzista una propria impronta originale; e ancora che da parte tedesca non vi furono - o quanto meno non sono emerse finora a un esame attento della vasta documentazione disponibile - imposizioni dirette sull'alleato italiano. Risultano però anche tutte le contraddizioni e le svolte del percorso che condusse via via all'emanazione dei Provvedimenti sulla razza del 17 novembre: contraddizioni e svolte da considerarsi tuttavia non tanto come il frutto esclusivo di un modo di fare politica incerto e approssimativo o, ancor più, come l'effetto di un'intenzione debole e poco radicata, quanto piuttosto come il prodotto di successivi aggiustamenti a un contesto in rapido mutamento.
A questo proposito Sarfatti distingue tre momenti importanti. Il primo, situato tra il febbraio e l'agosto del 1938, vide delinearsi un modello persecutorio non ancora pienamente precisato. "L'informazione diplomatica" n. 14 del 16 febbraio lasciava presagire un'iniziativa intesa a colpire solo una parte degli ebrei, senza che fosse ancora chiaro se la presenza degli israeliti nelle professioni e in genere nella vita delle istituzioni e della società avrebbe dovuto essere ridotta in proporzione al loro peso sul totale della popolazione - un ebreo ogni mille italiani - oppure se si sarebbe dovuto graduare i provvedimenti restrittivi sulla base di criteri "qualitativi": ad esempio la maggiore o minore dedizione alla patria e al fascismo. La fase in questione si concluse di fatto con il censimento degli ebrei realizzato con grande solerzia ed efficienza il 22 agosto, sul quale peraltro è possibile leggere un lungo saggio nella seconda parte del libro.
Proprio i risultati della rilevazione censuaria - a un tempo indagine conoscitiva e schedatura di massa in piena regola - condussero il duce a preferire a quel punto una nuova modalità di persecuzione, destinata pur sempre a colpire solo una parte degli ebrei, ma sulla base di un'esplicita e definitiva rinuncia al criterio "proporzionale". Gli ebrei italiani - per quelli stranieri il destino era e sarebbe comunque rimasto quello dell'espulsione - avrebbero dovuto essere suddivisi in due gruppi: quello di chi poteva vantare una qualche "benemerenza", cui si pensava di riservare l'esenzione dalle norme restrittive più gravi e, d'altro canto, quello di tutti gli altri, per i quali invece si prospettava addirittura la perdita della cittadinanza. Anche ipotizzando di prendere in considerazione i soli "meriti" più rilevanti, diveniva infatti praticamente impossibile applicare contemporaneamente e in modo rigido una proporzionale così stretta come quella dell'uno per mille ed esenzioni così larghe come quelle prevedibili sulla base dei dati raccolti attraverso il censimento del 22 agosto: gli ebrei che avrebbero potuto godere delle esenzioni erano all'incirca 9200 e 30.700 quelli viceversa destinati alla persecuzione nella sua forma più dura.
Ma ecco che a metà ottobre la linea dl Mussolini cambiò ancora, questa volta definitivamente. A ridosso della promulgazione dei provvedimenti di novembre, che avrebbero segnato il comportamento del regime fino alla sua caduta, le ''benemerenze'' finirono per offrire riparo quasi esclusivamente dalle norme restrittive concernenti il patrimonio e le attività imprenditoriali.. Per il resto tutti gli ebrei vennero colpiti allo stesso modo rendendo la persecuzione non più soltanto parziale ma "secca", rivolta cioè al gruppo ebraico nel suo insieme.
Si tratta a questo punto di chiarire il perché del progressivo indurimento della pratica antisemita del duce. "Ritengo - scrive in proposito Sarfatti - che Mussolini, sempre restando padrone sia delle proprie libere scelte sia semplice apprendista affascinato dalla propria costruzione..., si accorse passo dopo passo che gli era possibile elaborare e far accettare soluzioni persecutorie ben più aspre di quelle del mese precedente. Fu egli stesso cioè a 'liberarsi' delle proprie intenzioni iniziali 'parzialiste' e a raggiungere lo stadio finale decisamente 'secco'. In questo fu ovviamente facilitato dal fatto di essere fascista e dittatore, dagli elogi hitleriani e dalle pressioni degli antisemiti interni, dalla solitudine ebraica figlia del silenzio della società". Ci troveremmo insomma di fronte a una sorta di "progressione persecutoria automatica e autocontrollata" e cioè a una tendenza destinata a crescere su se stessa fino a consolidarsi in una forma più precisa, coerente e concreta grazie anche all'assenza quasi totale, nell'immediato, di una vera opposizione e, anzi, alla diffusa indifferenza per l'ennesima svolta illiberale del fascismo e per la sorte dei perseguitati.
Ma l'inasprimento della politica antiebraica del regime non si arrestò con i provvedimenti del novembre 1938; proseguì anche dopo, in un contesto destinato via via a mutare assai rapidamente. E se completare e rendere coerente la normativa persecutoria, ma soprattutto farla effettivamente rispettare, fu senza dubbio altra cosa dal delineare i tratti iniziali della politica discriminatoria e dal darle un primo impianto operativo - entrarono infatti in gioco a quel punto il comportamento delle istituzioni ai loro diversi livelli, i cambiamenti dello "spirito pubblico" in tempo di guerra, l'evoluzione del quadro nazionale e internazionale e altro ancora - conta tuttavia saper cogliere dall'inizio alla fine la tendenza prevalente. In una tale prospettiva è senz'altro significativo che sin dalla breve e rapida marcia di avvicinamento ai provvedimenti razzisti del novembre '38, al di là degli inevitabili riaggiustamenti, si possa rintracciare un orientamento sostanzialmente univoco e coerente. Tale dato serve quanto meno a chiarire che una svolta come quella antiebraica, lungi dall'essere stata una scelta estemporanea, eterodiretta o del tutto estranea alla realtà italiana, poteva contare su presupposti precisi, concreti e ben radicati nel "pensiero operativo" del duce così come nel contesto più generale del fascismo italiano, nonché - alla luce di quanto sarebbe accaduto poi - su solidi appigli nelle istituzioni e nella società.
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