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Per comprendere subito come Silvio Raffo ha inteso muoversi, cito le prime righe della 'Premessa': "Nel compilare questa antologia sono stato mosso e guidato da alcuni precisi convincimenti, più che da uno specifico criterio di metodo: anzitutto dalla certezza che la raccolta dei fiori non debba essere circoscritta ad alcun genere di 'hortus conclusus' dei cosiddetti poeti laureati, in base a norme precostituite e alle garanzie di notorietà di certi nomi piuttosto che di altri". In conformità a tali convincimenti, Raffo inserisce nel volume poeti in possesso di una loro autentica voce - comprese molte donne - messi a tacere o mai entrati nelle antologie di lungo corso, causando un danno anche in ambito scolastico, dove agli studenti si offrono quasi solo i 'mostri sacri' come se in un vasto e ricco giardino fosse entrato Attila in veste di critico a sterminare decine di piante dai bei fiori lasciandovi solo qualche sparuta sequoia. L'antologia, corredata da ampie analisi di sorprendente finezza e profondità, è preceduta da un 'Panorama' storico-critico molto importante per cogliere il passaggio dalla poesia dell'Ottocento a quella del ventesimo secolo. Essa è divisa in sei parti, sempre precedute da un saggio ricco di documentazioni, i cui titoli indicano il movimento in salita della nuova poesia e la sua sconsolante discesa nel disincanto. Il volume si chiude con la sezione 'Caleidoscopio' cioè con la 'Microantologia del Novecento' seguita da un'appendice metrica, da cenni rivolti alla musica leggera e da una 'Postilla' Ciò che lo studioso vuol dirci è questo: si diventa quel che si è, ma i poeti delle 'consunte braci' sono troppo poco per diventare qualcuno. D'altra parte, il vero amore è tale se non s'incrina di fronte alle situazioni esterne, e quello di Raffo per la poesia (che egli cerca dove esiste, a prescindere dai crediti ottenuti dai singoli poeti) è fuori discussione.
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