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«Il vero protagonista è lo stile che, tendendo al lirico, crea un acre contrasto con l'inclemenza di un mondo contadino dove antiche credenze e nuove miserie convivono fianco a fianco» - Chiara Fenoglio, La Lettura
«Sullo sfondo delle rivendicazioni di una popolazione oppressa e dimenticata che ricordano il Sud di Ignazio Silone o, per fare un esempio più recente, quello di Remo Rapino, Antonucci struttura una narrazione corale e frammentata, convulsa nel rapido passaggio tra una prospettiva e un'altra che restituisce in modo efficace uno spazio ristretto e ancorato profondamente alle proprie ritualità; un Sud Italia dai colori forse un po' troppo enfatizzati, ma senz'altro vividi in cui ha grande spazio anche il sovrannaturale, non come elemento reale della narrazione ma come superstizione e piaga mentale» - il Foglio
«Da Taranto fino a Nardò non c'è nulla, c'è l'Arneo», scriveva Vittorio Bodini dell'agro salentino dove, negli anni Cinquanta, i contadini si organizzarono per prendersi la terra a cui avevano diritto. Furono picchiati e arrestati dalle forze dell'ordine, le biciclette, il loro unico bene, bruciate, ma l'Arneo, fino a quel momento escluso dalla Storia, divenne materia viva, e qui fa da sfondo alle vicende di due genera-zioni che là hanno vissuto e lottato. Nino, che sogna di costruire il falò più alto che si sia mai visto, la Pietra, maciara che toglie l'affascino, Tonino, pescatore di murene; e poi i giovani: Salvatore, Maria, Liberata. In mezzo c'è l'Anna, che sparisce mentre sta raggiungendo i compagni nei campi. Un decennio dopo, il ritrovamento del suo anello riporterà alla luce quel mistero, rivelando l'anima più nascosta dei compaesani in un Sud tagliato fuori dalle cartoline, dove appunto «non c'è nulla, c'è l'Arneo».Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Sono sagome i personaggi che animano, si fa per dire, il romanzo "Murene" di Manuela Antonucci; sagome come quelle posizionate durante la pandemia nei talk sulle sedie del pubblico per non dare l'effetto del vuoto agli scranni. A (non) connotarli c'è l'anteposizione dell'articolo, stucchevole per la reiterazione, ai vari nomi (l'Ernesto, la Pietra, l'Anna); si salvano quelli che produrrebbero cacofonia (o ambiguità) Tonino, Salvatore, Liberata. La narrazione è del tipo a focalizzazione zero col narratore onnisciente che sa tutto sui personaggi ma non li vivifica con dialoghi secondo un leitmotiv, sì che la narrazione è statica. La scrittrice si compiace del suo scrivere; corretto, ma questo è il minimo sindacale che si richiede ad un libro, peraltro d'esordio. Ma il lettore (io) non è catturato da una diegesi narratologica sì che il lettore (sempre io) si perde fra metafore assai spesso forzose, vicende oniriche e fantastiche nell'attesa di un andare a parare... da nessuna parte.
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