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recensione di Maglioni, S., L'Indice 1997, n. 6
Fattoidi: nella sua biografia di Marilyn Monroe Norman Mailer avverte i lettori che quello che leggeranno è uno strano ibrido tra realtà e finzione. Ancora fattoidi: in questo divertente e amaro romanzo ambientato in una Detroit degli anni cinquanta tiranneggiata dall'industria automobilistica, Bill Morris, ex disc-jockey e pony-express, crea un universo di contaminazioni tra storia e invenzione romanzesca. Anche qui si incontra Marilyn, in compagnia di Joe Di Maggio. Si incontrano Eisenhower, il senatore McCarthy - "Morey corse a casa. Voleva farsi una doccia. McCarthy, a dire il vero, lo faceva sentire sporco fisicamente" -, Jack Kerouac, Miles Davis,Elvis Presley, e all'università di Cornell ci si imbatte persino in "un russo pazzo che colleziona farfalle nel tempo libero e scrive astrusi romanzi". Con un movimento di macchina a spirale "Motor City", ricordando l'impianto narrativo di "America oggi" di Robert Altman, riprende frammenti di vita di personaggi al principio scollegati tra loro e li fa avvicinare lentamente verso un centro comune occupato dalla General Motors, dalla mentalità aggressiva dei suoi uomini, da relazioni umane fatte di arrivismo e tradimenti. Solo Harvey, mentre guida la sua Buick, viene abbagliato dalla spaventosa luce di vuotezza irradiata da Detroit. "Aveva trascorso tutta la propria vita adulta a passare in macchina davanti a quei luoghi senza mai farci caso, ma ora gli sembravano scenari da incubo. Erano quasi sufficienti a fargli desiderare il paesaggio di Hiroshima, resti di boschi e di lamiera sottile. Almeno quella città, a differenza di questa maledetta massa confusa e brulicante, era stata purificata dal fuoco e aveva capito la vanità del potere". Ma per gli altri personaggi, la General Motors rimane l'unico mondo possibile.
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