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Dopo l'eccellente graphic novel “La morte di Stalin” pareva oggettivamente difficile per Nury e Robin ripetersi agli stessi livelli. Invece questo “Morte allo Zar” è contraddistinto da meriti non inferiori all'opera precedente, rispetto alla quale costituisce, se vogliamo, una sorta di prequel, non semplicemente per motivi cronologici ma soprattutto rispetto al filo rosso che tiene avvinte entrambe le vicende, vale a dire il tema della violenza. Rappresentando senza sconti la società zarista di inizio Novecento, già irrimediabilmente segnata da povertà, oppressione ed odio, gli autori sembrano implicitamente suggerire che Stalin, e ciò che Stalin ha personificato, non siano stati un'aberrazione imprevedibile ed isolata, ma una coerente e tremenda conseguenza di tutto un clima che da tempo si era instaurato in Russia. Al fucilatore occasionale e riluttante Sergej Aleksandrovič Romanov seguirà semplicemente, fatta una Rivoluzione, il fucilatore abituale e metodico Iosif Vissarionovič Džugašvili, ormai liberato, nella sua atonia morale, da quei complessi di colpa che ancora albergavano nell'animo del granduca, mentre nella figura del terrorista, gelido protagonista del secondo episodio, non è difficile scorgere l'epitome di tutti quegli impassibili čekisti, pronti di lì a pochi anni ad assassinare milioni di esseri umani. Basterebbe la capacità di ingenerare simili riflessioni a far classificare come grandi storie i due episodi di “Morte allo Zar”. In aggiunta Nury ci mette un'esemplare, asciutta consequenzialità di trama e dialoghi, come sempre ben coadiuvato dalle matite di Robin nonchè dai colori molto intonati di Champion, come fa giustamente notare Sergio Brancato nella sua eccellente prefazione al volume. E' grazie ad opere ed autori come questi se il fumetto sa meritarsi, ogni tanto, l'altisonante appellativo di Nona Arte.
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