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È indubbiamente strano questo romanzo breve di Camilleri: inizia con una specie di premessa, a metà fra il saggio e il romanzo storico (corre l'anno 406 a.C., allorché Akragas viene conquistata e distrutta dai cartaginesi), si sviluppa come giallo in un'epoca di molto successiva (siamo nel 1909) e si conclude come una favola, in cui è vero che manca la famosa frase "e vissero tutti felici e contenti", ma è sottintesa. Forse è un po' troppo in sole 136 pagine, però l'autore siciliano, come riportato in una Nota finale, ha inteso raccontare una cronaca, o leggenda familiare, secondo la quale un lontano parente, lontano anche nel tempo, che era medico e appassionato di numismatica ebbe la fortuna di incontrare un giorno un contadino che gli fece vedere, con lo scopo di fargliene dono, una monetina d'oro che aveva trovato zappando il terreno. Il dottore la riconobbe subito, era la favolosa piccola Akragas; fece per prenderla, ma per la fretta e l'emozione cadde da cavallo rompendosi una gamba. Sempre secondo questa cronaca, o leggenda, il medico regalò successivamente la moneta al Re Vittorio Emanuele III che ne era interessato e che contraccambiò con l'onorificenza di Grande Ufficiale. Premetto che non ci troviamo di fronte a un capolavoro, ma solo a un buon libro e, considerando la considerevole produzione letteraria di Camilleri, direi che non è poco, visto che con tante opere non tutte possono riuscire al meglio. Nel caso specifico la qualità non si discute, lo stile è quello accattivante tipico dell'autore siciliano, la vicenda stessa si evolve secondo un filone logico consolidato e che porta alla scoperta del colpevole (in questo caso è un assassino) in modo del tutto convincente; quello che eventualmente stona è quel finale favolistico e passi per l'onorificenza, che potrebbe anche rispondere a verità, ma tutta la generosità di Vittorio Emanuele III, notoriamente tirchio, non ci sta. Si legge, comunque, volentieri.
Bello,..forse anche più bello di tante storie di...Montalbano !!!
Anche quando non crea storie di Montalbano, Camilleri è sempre arguto, sottile, elegante, geniale e sobrio. Questa breve narrazione ha il solito garbo, la solita delicatezza di favola un po' inquietante che ho trovato sempre così irresistibile (vedi Maruzza Musumeci o Il birraio di Preston)
Recensioni
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Un po' tutti abbiamo pensato prima o poi che gli oggetti siano dotati di un'anima, che improvvisamente possano sparire, nascondersi, farsi rubare, causare eventi più o meno nefasti.
O che, molto semplicemente, vogliano vivere in pace, dimenticati da tutti.
Forse questo "pensiero" accompagna anche una piccola moneta (la favolosa, piccola Akragas) al centro della vicenda narrata da Camilleri con l'abituale abilità linguistico-letteraria e il fascino dei suoi romanzi storici, i veri capolavori del creatore di Montalbano.
Ancora una volta Camilleri ci descrive alcuni scorci di Sicilia, aprendo finestre temporali che distano millenni.
La storia inizia intorno al 406 a.C., quando Akragas (l'antica Agrigento) cade in mano ai Cartaginesi e il mercenario Kalebas, al servizio d’Akragas e agli ordini dallo spartano Deixippos, scampato all'eccidio portando con sé un sacchetto di monete d'oro che rappresentano il compenso per otto mesi circa di lavoro, cerca di fuggire.
”Sono monete appositamente coniate, da un lato c’è un’aquila ad ali aperte e una lepre, dall’altro un granchio e un pesce. Ognuna pesa 1,74 grammi d’oro, comprensivo anche della quotidiana razione di grano, perché negli ultimi mesi ad Akragas è stato più facile trovare oro da fondere che frumento ed equivale a sei giorni di paga. Nel sacchetto di Kalebas di queste monete ce ne sono trentotto”.
Kalebas, morso da una vipera, muore, ma prima sparge le sue monete scagliandole lontano.
1908: “Quasi duemilacentosettant’anni dopo Akragas, un’altra città siciliana viene distrutta dalle fondamenta. Ma stavolta si tratta di cause naturali.” La città è Messina e la causa il terremoto. Drammatiche vicende legate a questo evento portano alla luce una moneta tanto piccola quanto di grande valore: è una delle monete coniate ad Akragas considerata l'unica del suo genere, probabilmente una di quelle di Kalebas, e alla fine arriva nelle mani dello Zar, numismatico per passione.
1909: Passa solo un anno e uno zappatore trova un'altra moneta d'oro, dal valore inestimabile. Ma lui non lo sa e neppure può rendersi conto che questo ritrovamento sarà la sua sfortuna. Il suo desiderio sarebbe regalarla al medico del paese per sdebitarsi con lui - notoriamente appassionato collezionista, affascinato dalla straordinaria scoperta - ma per una serie di coincidenze sfortunate la moneta sembrerà sfuggire a questo destino.
“La spiegazione è questa - secondo il dottor Gibilaro, appunto - che la moneta stia esprimendo la sua volontà di non riapparire al mondo, di tornarsene nuovamente dentro quella terra dalla quale un giorno l’hanno tirata fuori. E comunque, in linea subordinata, di non andare mai, per nessuna ragione, a finire nella sua povera collezione. È come se un’imperatrice si rifiutasse giustamente di abitare in una stamberga.”
Senza scomodare gli oggetti fatati della tradizione (vedi Morfologia della fiaba e Le radici storiche dei racconti di fate di Vladimir Propp) la moneta diventa strumento e scopo ultimo di una serie di eventi. Non tanto l'oggetto utilizzato per realizzare sogni quanto quello che può servire a modificare la realtà, sia negativamente che positivamente. Dipende dalle mani in cui si trova, da chi la utilizza. Se l'uomo che ne viene in possesso è buono la moneta farà del bene attraverso lui, viceversa potrà diventare strumento del male.
Insomma, una moneta antichissima per temi eterni dell'umanità: la distinzione tra ciò che è eticamente corretto e ciò che non lo è, la relatività del possesso dei beni materiali, il premio - non garantito a tutti, però, perché esiste sempre l'imponderabile - per coloro che sapranno gestire questi beni materiali con generosità e oculatezza. E infine la forza eterna del potere e la necessità di sottostare al volere di aristocratici e governanti.
A cura di Wuz.it
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