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recensione di Merlo, G.G., L'Indice 1984, n. 1
Il benedettino Jean Leclercq è storico di spicco nel panorama della medievistica contemporanea. Grandissimo conoscitore delle opere di Bernando di Clairvaux e del monachesimo dei secoli centrali del medioevo, e noto per il fondamentale volume su "Cultura umanistica e desiderio di Dio". Studio sulla letteratura monastica del medioevo, originariamente comparso in lingua francese presso le parigine Editions du Cerf nel 1957, e successivamente tradotto in vari paesi: l'edizione italiana, a cura dell'istituto per le scienze religiose di Bologna, fu pubblicato dall'editore Sansoni nel 1965 e più volte in seguito ristampato. Fu in quell'opera che il Leclercq precisò e rivalutò l'esistenza di una "teologia monastica" interpretata non come semplice premessa alla "scolastica", ma come peculiare prodotto della riflessione dei monaci e di una spiritualità intrisa di un umanesimo in perenne tensione tra l'isolamento claustrale e l'intervento mondano.
Il volumetto tratta di argomenti (matrimonio, amore coniugale, redenzione delle peccatrici) solo all'apparenza lontani da quella fondamentale ricerca. I protagonisti sono gli stessi, ancora i monaci, tra i quali perdura la duplice attrattiva del chiostro e della realtà esterna. Monaci impegnati nell'elaborazione di valori e di modelli di comportamento da indicare ai laici: in questo caso valori e modelli di comportamento relativi al matrimonio, un fenomeno all'apparenza così estraneo all'universo di chi si votava ad una vita di castità. Già questa considerazione può suscitare interesse e curiosità, che anche l'editore italiano non manca di sottolineare nella presentazione del quarto di copertina: "Leclercq fornisce un contributo determinante allo smantellamento dell'inveterato pregiudizio secondo il quale il medioevo avrebbe provato ostilità nei confronti dell'amore umano e coniugale; questo libro, al contrario, dimostra che specialmente i monaci e i "chierici", più ancora che i laici, apprezzarono e sostennero i valori del matrimonio". Come: monaci e chierici, votati a una vita celibataria, apprezzano e sostengono i valori del matrimonio? addirittura più dei laici?
La portata di tali domande si ridimensiona quando si pensi ai nessi esistenti tra generali sviluppi della società europea occidentale e riflessione degli "intellettuali": i quali, inseriti in un'istituzione ecclesiastica vivacemente e possentemente orientata a inquadrare l'esistenza degli uomini secondo schemi razionali e conformistici, si trovarono a cogitare sulla realtà mutevole, cercando di renderla coerente con una tradizione realizzata grazie alla complessa stratificazione di molteplici auctoritates (la Bibbia, i Padri, le decisioni conciliari e sinodali, ecc.) e con l'esigenza, intrinseca alla cultura ecclesiastica, di un'ordinata sistemazione di pensieri e azioni. Il rinnovamento del XII secolo passò anche attraverso tale multiforme filtro che comportò una rivitalizzazione del mito dell'antico, non solo cristiano (anche se talvolta non si aveva il coraggio di renderlo palese). Il rinnovamento passò, nondimeno, attraverso il rapporto dialettico, la reciproca influenza tra elaborazioni intellettuali laiche e chiericali: diverse soprattutto nelle finalità che le une e le altre si proponevano e nella volontà di orientamento della vita altrui. Da un lato, dunque, il libero giuoco della fantasia e della creatività, dall'altro, la progressiva definizione di un modello austero e nel contempo rassicurante. Non è chi non si renda conto dello schematismo di una siffatta formulazione del problema, che pur tuttavia contiene un fondo di verità: le invenzioni letterarie non mancano, per esempio, negli ottantasei "Sermoni sul Cantico dei cantici" di Bernardo di Clairvaux, ma sono impiegate al servizio di un progetto esistenziale tutto costruito sulla proiezione della realtà divina su quella umana, o, se si vuole, tutto teso all'edificazione di rapporti umani stabili e ordinati a riflettere la grandiosa armonia divina.
La rivalutazione dello stato coniugale fu contestuale alla rivalutazione del laicato e, per altro verso, alla riscoperta di valori propri dell'esperienza umana. A ciò si connetteva l'immane sforzo di definizione di concetti e istituzioni che compì in primo luogo la cultura chiericale, anche a proposito del matrimonio. Parallelamente emerse una religiosità meno elitaria una religiosità che volgarizzò il Vangelo, che si fece più vicina agli uomini, più sensibile ai problemi della condizione umana, persino nelle sue manifestazioni più umili e dolorose. Spontaneamente nacque, nel monachesimo più dinamico e libero, un'azione pastorale nei confronti dei miseri e dei diseredati, per esempio nei confronti delle prostitute alle quali fu offerto il chiostro, oppure il matrimonio quale possibilità di redenzione. Anche a questo proposito la cultura chiericale opero delle trasfigurazioni, propose dei simboli: la peccatrice della celebre pericope di Luca 7, 36-50, e identificata tout court con Maria Maddalena. Ne nasce un personaggio che, prostituta, e manifestazione simbolica della capacità di amare e di essere amata, di divenire, a suo modo, sposa, nelle sue relazioni con gli uomini e con Dio" (p. 95).
Se questo è il quadro problematico in cui si sviluppa il volumetto del Leclercq, esso non consente di trarre conclusioni, in quanto si tratta di argomenti intorno a cui la ricerca sta compiendo rinnovati sondaggi e ricerche (ne è prova la Postfazione nella quale il Leclercq dà conto di lavori usciti dopo la prima edizione in inglese del suo libro). Il lettore non mancherà di accorgersene: lo stesso lavoro dello storico benedettino si presenta come approccio a una serie di testi e di questioni; a una serie di autori e di personaggi. Il tutto affrontato con competenza ed equilibrio, e non senza una vena di passione ammirata per il mondo monastico medievale.
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