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Il volume Modelli di schizofrenia, scritto da Aurelio Molaro, filosofo e non psichiatra ma con un interesse personale su questo argomento, è un’introduzione per gli studenti universitari e utile breviario per gli operatori che operano nel difficile campo della salute mentale. Lo studio tratta questa patologia, che da sempre ha attirato le ricerche dei più importanti psichiatri già a partire dalla fine dell’Ottocento che, con Kraepelin ideatore del termine dementia praecox per definire quella che resta una malattia enigmatica e, ancor oggi nel XXI secolo nell’epoca degli antipsicotici, sostanzialmente inguaribile. Il libro considera il disturbo schizofrenico da un punto di vista teorico e costituisce un affascinante viaggio tra i principali autori che si sono confrontati con esso nel corso del tempo. Il termine schizofrenia, coniato da Bleuler nel 1908, rappresentò una importante innovazione non solo sotto l’aspetto lessicale, ma nosografico e psicopatologico; lo psichiatra svizzero approfondì inoltre le ricerche sull’autismo schizofrenico, sintomo che definì come il nucleo della psicosi. Molaro prosegue con l’esposizione delle interpretazioni di Schneider sulla schizofrenia e la psicopatologia clinica, per procedere con l’apporto e il contributo che la filosofia fenomenologica, rielaborata dalle riflessioni di Binswanger, Minkowski e Jaspers, hanno prodotto per la ridefinizione della malattia mentale. Una certa complessità è costituita dal capitolo relativo all’interpretazione psicoanalitica del fenomeno schizofrenico, dove vengono espresse le dottrine di Freud, Jung, Klein, Abraham e Bion, dove la definizione della psicosi è sostanzialmente rappresentata dalla disintegrazione dell’Io e dalle altre componenti che costituiscono l’individuo (Super Io, Es), per cui secondo il padre della psicoanalisi la guarigione dello schizofrenico risulta impossibile. La ricerca si conclude con le indagini di Bateson e la Scuola di Palo Alto e le riflessioni della Selvini Palazzoli.
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