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Il mito della democrazia sociale. Giovanni Gronchi e la cultura politica dei cattolici italiani (1902-1955) - Maurizio Serio - copertina
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L'autore illustra il percorso politico di Giovanni Gronchi, intellettuale cattolico, sindacalista, esponente di spicco prima del Partito popolare di don Sturzo e poi della Democrazia cristiana. Finora poco studiato, Gronchi è figura di raccordo tra le istanze sociali cattoliche e la dialettica democratica repubblicana, tanto da essere eletto presidente della Repubblica da un vasto fronte di centro-sinistra. Indagare, al di là delle contingenze parlamentari, le ragioni della convergenza sul suo nome di quell'ampio schieramento politico a metà degli anni Cinquanta, significa ripensare la natura dei programmi sociali di movimenti e partiti usciti dalla Resistenza e confluiti nella Costituente, e in particolare riflettere sulle componenti sodali-corporative di un comune atteggiamento democratico. Affiancando al taglio politologico l'impiego di fonti storico-documentarie, l'autore opera una disamina della collocazione del pensiero sociale cattolico nel contesto dei dibattiti e delle esperienze di intervento sociale maturati tra gli anni Trenta e Cinquanta, seguendo lo strutturarsi del percorso di un "mito politico" che avrebbe portato Gronchi alla presidenza della Repubblica italiana.
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Dettagli

2009
27 luglio 2009
180 p., Brossura
9788849825350

Voce della critica

Ai fini di una comprensione delle politiche pubbliche adottate dai governi repubblicani può risultare molto proficuo ricostruire le biografie intellettuali di alcuni esponenti della Democrazia cristiana e soprattutto della sua correte definibile come di “sinistra”. Maurizio Serio ci fornisce pertanto uno strumento storiografico con questo ritratto di Gronchi, della sua formazione politica e ideologica dalla prima giovinezza fino al 1955, anno dell’elezione alla presidenza della Repubblica. Dall’incontro e dal confronto con Murri e Toniolo il giovane Gronchi matura la convinzione che il cattolicesimo politico debba tematizzare la “questione sociale” e farne il proprio cavallo di battaglia. L’esperienza della prima guerra mondiale, che gli valse una decorazione al valor militare, e la militanza nel Partito popolare italiano, gli faranno affrontare l’avvento del fascismo da una posizione che non risulta a tutt’oggi decifrabile. Serio ci suggerisce che stia proprio in quel torno di anni un’ulteriore maturazione e torsione del pensiero politico gronchiano. Da un lato, specie durante l’iter parlamentare della legge Acerbo, emerge un atteggiamento pragmatico e, per certi versi, persino spregiudicato, che si ritroverà più marcato nel secondo dopoguerra. Dall’altro , una volta compresa l’impossibilità del programma di democrazia sociale da parte del fascismo, Gronchi recupera la polemica dell’intransigentismo ottocentesco contro lo stato accentratore e affianca nel proprio repertorio l’antifascismo all’antiliberalismo coltivato sin da giovane. Dopo il 1945 la sintesi dei due miti sarà l’idea di “programma”, con cui si comprende il ruolo di Gronchi nella mutazione della politica democristiana tra la fine del centrismo e il varo del centrosinistra.
Danilo Breschi

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