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All'interno di un percorso di filosofia comparata, Otto mette in correlazione due modalità particolari di esperire il sacro: la mistica occidentale, così com'è concepita da Meister Eckhart, e la mistica orientale di Acarya Sankara con il suo sistema dell'Advaita Vedanta. Pur premettendo che l'esperienza mistica rappresenta un approccio al fenomeno del sacro che travalica i confini della determinata rivelazione religiosa e pur analizzando approfonditamente le analogie tra i due sistemi, Otto non manca di mettere in evidenza le differenze tra i due. Fortemente influenzato dalla sua peculiare concezione della religione, esposta in Das Heilige, intesa come una predisposizione personale del soggetto attivata da un sentimento irrazionale in grado di accedere all'idea di Dio come ganz Anderes e Mysterium tramendum et fascinans, Otto ritiene che entrambe le mistiche siano percorsi di conoscenza che conducono a metafisiche irrazionali, non scientifiche, non filosofiche, ma essenzialmente soteriologiche. In entrambi gli autori sono presenti una mistica dell'abbandono o dello sprofondamento del sé e una mistica dell'unione con il principio divino: dall'anima alla deitas fino alla visio sub specie aeternitatis e dall'Atman al Brahman fino al Tat tvam asì. Tuttavia, la cifra specifica del pensiero di Eckhart, la cui unicità svela l'impianto apologetico dell'opera di Otto, consiste nella dinamicità del Dio vivente cristiano, nel suo tipico movimento dialettico esplicitato nel circolo ternario trinitario che rompe l'arco a tutto sesto e si slancia nel gotico germanico. Emerge tra le righe, sia a livello concettuale sia a livello lessicale, il sottile filo rosso che conduce da Eckhart a Heidegger, passando per Lutero, Schleiermacher e Hegel, toccando perfino lo Scheler de L'eterno nell'uomo.
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