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Scrittore che, come dice Gianni Celati nella sua prefazione, può essere definito un classico moderno, maestro di uno stile satirico che spesso induce apertamente al riso, Flann O'Brien ci offre con questo "La miseria in bocca" un piccolo capolavoro di comicità. L'intenzione è una critica a quel movimento del Gaelical Revival, o rinascita gaelica, che propagandava un'immagine convenzionale della vita in certe zone dell'Irlanda, note come Gaeltacht, un'immagine fatta di stereotipi, in cui andavano perduti la sostanza e gli umori di una cultura che, per quanto emarginata, era tuttavia radicata in una tradizione popolare antichissima. Ma a questa chiave di lettura, più dotta, se ne contrappone un'altra, più diretta e immediata, fondata su una scrittura che affascina per la sua connotazione fantastica, sulle invenzioni irresistibili con cui l'autore sviluppa la sua tesi. Attraverso il racconto di Bonaparte O'Coonassa, che rifà la storia della sua vita, incontriamo gli abitanti di Corkadoragha e seguiamo il protagonista in una lunga serie di disavventure che si svolgono in questo mondo e in un altro, quello sotterraneo o sottomarino di molte fiabe gaeliche, in una serie di episodi in cui squallore e miseria vengono filtrati attraverso una vena di grande, assoluta comicità.
In questa fusione di possibile e impossibile, di reale e ultraterreno, narrata con un linguaggio di cui, anche nella traduzione, si è cercato di conservare il fondo sonoro e gli echi cantati dal gaelico, "La miseria in bocca" rimane un testo unico e indimenticabile.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La traduzione di Gianni Celati, con il suo linguaggio vivace e attraente, rende ancor più piacevole la lettura di questa ironica e appassionante finta autobiografia, divertente parodia del gaelic revival.
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1987)
scheda di Cataldi, M., L'Indice 1988, n. 5
L'edizione originale, in irlandese, intitolata "An Béal Bocht", era firmata Myles na Gopaleen, uno dei molti pseudonimi del dublinese Brian O'Nolan. La traduzione inglese, "The Poor Mouth", portava come sottotitolo "una storiaccia sulla vita dura"; la presente edizione - cui è premesso un ampio e illuminante "Tentativo di omaggio a Flann O'Brien* di Gianni Celati (pp. 9-36) - non si rifà all'edizione originale ma alla traduzione inglese del 1973. Alla base di questo romanzo parodistico e grottesco, in cui pioggia, miseria, catastrofico squallore e graveolenze sembrano protagonisti, sta l'ossessione che incombe su tanti letterati irlandesi degli anni della "Rinascita Celtica" d'inizio secolo: il rapporto di continuità con la tradizione gaelica. L'esigenza di autenticità viene qui ridicolizzata nella figura degli studiosi Gaeligores che, nella loro furia etnografica, registrano la voce degli ultimi superstiti abitanti del Gaeltacht nell'ovest dell'Irlanda, e finiscono per scambiare i grugniti di un maiale per la vera "melodiosa parlata gaelica". L'autore che ha in apparenza un atteggiamento ironicamente distruttivo verso l'eredità culturale irlandese con i suoi stereotipi, paradossalmente compie con la sua opera un atto di fedeltà verso quella tradizione e ne è il preservatore. Di Flann O'Brien il lettore italiano conosce già due romanzi, entrambi pubblicati da Einaudi: "Una pinta di inchiostro irlandese" (1968), tradotto da Bruno Wilcock e "Il Terzo Poliziotto" (1971) tradotto da Bruno Fonzi.
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