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Anno edizione: 2021
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Siamo ad Alessandria d’Egitto ed è il 1966. Sette personaggi molto diversi tra loro sono costretti a vivere sotto lo stesso tetto, quello della pensione Miramar della signora Mariana. Diversi sono i temi che fanno da sfondo all’opera: amore, politica, avvenimenti storici e morte. Ed è proprio la morte di Sahran, un giovane avventore della locanda, a fare da fulcro all’opera. Ogni personaggio racconta la propria personale versione della morte del giovane, con particolari sempre diversi e sempre nuovi. Insieme all’episodio, ognuno racconta anche la propria vita e le proprie sensazioni, creando un perfetto quadro della società egiziana postrivoluzionaria. Consigliatissimo.
La tecnica narrativa, tipica dell'autore è originale e accattivante. Per chi non ha mai letto questo autore, è sicuramente da provare.
Recensioni
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Mahfuz, Naghib, Miramar, Feltrinelli , 1999
Mahfuz, Naghib, L'epopea dei harafish, Pironti, 1999
Mahfuz, Naghib, Echi di una autobiografia, Pironti, 1999
recensioni di Bartuli, E. L'Indice del 2000, n. 05
Per festeggiare l'ottantasettesimo compleanno dell'unico Nobel arabo per la letteratura, la Tullio Pironti pubblica altri due suoi lavori - L'epopea dei harafish e Echi di una autobiografia -, proseguendo così nell'ormai decennale impegno di rendere fruibile al pubblico italiano lo spettro più ampio possibile della sua sterminata produzione. Uno dei primi romanzi di Mahfuz apparsi in traduzione, invece (quel Miramar proposto nel 1989 dalle Edizioni Lavoro) viene ripubblicato a distanza di un decennio da Feltrinelli, l'altra casa editrice italiana ad aver seguito da vicino l'autore egiziano, in un coincidere fortunato che permette di accostare tre testi completamente diversi tra loro, evidenziando, ancora una volta, la poliedricità della sua scrittura.
Miramar (dal nome della pensione ad Alessandria d'Egitto in cui si svolge la vicenda) ricostruisce a più voci un banale fatto di cronaca nera, mettendo in scena, attraverso sette personaggi - cinque uomini e due donne - le variegate anime della società egiziana alla vigilia della disfatta del 1967, anno cruciale nella storia del mondo arabo. Snello, scorrevole, impostato quasi a mo' di giallo, Miramar sembrerebbe oltremodo lontano dal corposo e stilisticamente classicheggiante L'epopea dei harafish, se non fosse per il ripresentarsi, nei due testi, di una delle caratteristiche precipue dei romanzi di Mahfuz: l'impianto quasi da drammaturgia che delimita l'azione a uno spazio fisico esiguo (l'ingresso della pensione nel primo caso, un angusto vicolo nel secondo) riuscendo a proporre senza penalizzazioni tematiche nazionali di ben più ampio respiro. "Si può afferrare la profondità della personalità egiziana - ha dichiarato anni fa Mahfuz a un giornale francese - attraverso un gruppo di persone, anche poco numerose, anche dello stesso ambiente. Si può così scorgere un'ampia distesa attraverso piccoli scorci...". È ciò che accade, compiutamente e magistralmente, in L'epopea dei harafish, vera e propria saga che ripercorre tredici generazioni all'interno di una famiglia di "marginali", "devianti", "diseredati" (tali potrebbero essere alcune delle traduzioni del desueto termine "harafish", saggiamente mantenuto in lingua originale nel titolo del romanzo edito da Pironti).
Seguendo le alterne vicende della famiglia Naghi - "discesa dal cielo per rotolarsi nel fango", in un altalenarsi di periodi di benessere e di dissolutezza -, Mahfuz riesce a suggerire una via di redenzione dalla miseria, dimostrando come "una turba di miserabili" possa trasformarsi "in una forza straordinaria". Lettura piacevolissima e avvincente, nonostante uno stile che per il gusto italico può peccare di preziosismo, L'epopea dei harafish resta nella memoria come un continuo memento sulla transitorietà del contemporaneo ("se davvero qualcosa potesse durare immutabile nel tempo, perché mai le stagioni dell'anno dovrebbero alternarsi?"; o, più avanti, "il presente rimuove il passato, annientandolo e seppellendolo"). Qui come in altre sue opere, Mahfuz accosta a questa concezione del tempo la serena consapevolezza di quanto sia importante il ruolo del narratore, di colui che tramanda la memoria, perché "l'uomo muore, con le sue azioni buone e quelle cattive, ma le leggende restano per sempre".
L'età, il riconoscimento internazionale, la pluriennale esperienza e il suo conclamato ruolo di memoria storica hanno fatto di Naghib Mahfuz un mito nazionale egiziano impossibile da ignorare. A cadenza regolare, il prestigioso settimanale governativo in lingua inglese "al-Ahram Weekly" gli ha riservato un riquadro in cui esprimere opinioni, narrare aneddoti o inseguire ricordi. Echi di una autobiografia nasce, verosimilmente, come raccolta di quei brevi pensieri sparsi e, poiché ne paga lo scotto in termini di frammentarietà, dispiacerebbe pensare che la pubblicazione di questo testo sia un'alternativa alla traduzione, prospettata tempo fa dalla stessa Pironti, di Naghib Mahfuz... yatadhakkar ("Naghib Mahfuz ricorda"). Ben più significativa, infatti, sarebbe quella lunga intervista raccolta nel 1980 dallo scrittore Gamal al-Ghitani per ripercorrere le tappe umane e letterarie della vita di Mahfuz. Attraverso i lunghi dialoghi riportati (come accade in modo ancora più evidente in un'altra intervista, pubblicata in volume nel 1998 dal giornalista Raga' al-Naqqash) è possibile, infatti, percepire come Naghib Mahfuz abbia accesso a una libertà di espressione spesso negata ad altri intellettuali e, finalmente anche per il lettore italiano, diverrebbe più agevole riandare dai testi al loro contesto, dalla società egiziana al suo Narratore.
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