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"Caro Piero, perché mi dice "o il cuore forse anche per lei non esiste più"? Sono cose che non si devono dire, sopratutto quando si sa già la risposta (se non fossimo in qualche modo allo stesso punto, ci scriveremmo queste lettere?)...Anch'io mi muovo nel caos - mio ed altrui - nel nuovo caos che è questa terra, che partorisce lune mostruose. Ed è autunno, e tutto crolla sordamente, ed è difficile, sempre più difficile, dire: "metamorfosi"....Si snodano così questi accenni d'anima, foglie staccate con rara delicatezza dai mutevoli rami della confidenza, nude e velate insieme dal terriccio inquieto dei giorni, piaga avara di requie: "Questo è solo per dirle che il filo è sempre teso, che io non taccio mai veramente con lei, ma che devo parlare senza parole per non dire parole che sembrino senza nesso". Periodo sublime e complesso, vaga scivolosa sembianza, ombra casta e imprendibile nell'animo di chi scrive, forse l'emblema perfetto della condizione di poeta. Non ondeggia un fruscio felice in questo carteggio; le lettere sono abitate spesso da silenzi, sospensioni, difficoltà e rimandi, simili a pedine sempre più fragili sulla scacchiera dei giorni, poche mosse ad alitare scioltezza sebbene i vicini, nello scambio epistolare, non manchino mai d'essere presenti con franchezza amorevole. Come un'aria di costante convalescenza, soffio tenue che pur sanguina in una sua forza nascosta, in una volontà pugnace, ma sempre nel destino della parola, scherno e prontezza, precisione e smacco, indovina smarrita in se stessa. Ma Cristina non lesina gioia nel suo inchiostro, non risparmia le sue monete di dentro, non esita, non trascura, unendo agli umili sfondi del taciuto la forza di confessioni potenti. Meraviglioso, nell'aggancio alla lettura del Zivago, quanto segue: "Potessimo noi creare molte dacie, molti piccoli occhi nella tempesta e preservare là dentro l'attenzione, la risposta alla vita". Se alcuni libri somigliano a carezze, qui siamo fra dita sceltissime.
Cristina Campo era una fata da triplice sguardo, incandescente, quasi ancorata; scrisse poco e avrebbe voluto scriver meno, ma a me pare che non scrisse così poco come sembra, certo, queste corrispondenze, missive con amici come perle rendono pura testimonianza del suo essere così evidente spada che si trascende, così coerente con sé stessa e con gli altri. In questo volume abbiamo modo di scoprire una Campo ancora giovane e in fiore, ma con sogni e pensieri così alti che solo nei suoi famigerati saggi e nelle sue poesie si svilupperanno come duplice lama dal doppio taglio ed anche con incontri nuovi come quello con Mita, di cui le missive sono forse la cosa più bella che la letteratura italiana, in generale, ci abbia lasciato (vedi Lettere a Mita). Consiglio vivamente di farsi un tuffo in piscina con Cristina Campo, quando vedrete cielo e terra oscurarsi, tuffate le mani nell'acqua perché corso e radice primaria della vita, risana la mente, è corpo spirituale. Assolutamente da leggere!
Questi giorni di riposo,non scelti, forse concessi, si sono rivelati i più adatti per potermi dedicare ad un'autrice che più di altri, forse ha bisogno di attenzione e silenzio. Le lettere a Gianfranco Draghi- la cui amicizia va ben aldilà del periodo fiorentino e la cui voce sembra risuonare costante anche aldilà dell'assenza- rivelano tutta la tenera attenzione, la trepidazione di Cristina per le persone che ama. Sono lettere cifrate, che a noi, come terzi, non direbbero molto se non fossero sostenute dalla parallela lettura della sua biografia; pure, per noi lettori "terzi"anche così è difficile cogliere tutti i rimandi, le allusioni e il "non detto" . E' forse giusto così, del resto- che diritto abbiamo di leggere un epistolario privato? Eppure lo facciamo, tutti, con la presunzione che ci appaiano più accessibili gli autori che abbiamo amato. Ciò che appare, invece, è il meraviglioso ritratto di alcuni paesaggi, correlativi evidenti degli stati d'animo; la volontà d'azione, indomabile, frenata solo dalla convivenza penosa con il suo terribile male. Quale energia, quale forza in Cristina. Dice poco di sé e di questo continuamente si scusa. Per non potere o non volere dire altro(l'ellissi credo sia la più evidente cifra stilistica di Cristina, che di se stessa dice di aver scritto poco e che avrebbe voluto aver scritto ancora meno).
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