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Anno edizione: 2014
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Reputo questo libro necessario per chiunque voglia capire meglio Mingus. Mentre nella sua presunta "autobiografia" si rivela avaro di dettagli e racconti sulla musica, qui grazie all'abile regia di Goodman descrive la sua concezione di musica, il suo rapporto con le avanguardie e le mode musicali, con la composizione, con i suoi colleghi e con le case discografiche. Il periodo temporale ricoperto dalle interviste è quello dal 1972 al 1974, un periodo particolare in cui le "avanguardie" avevano preso il sopravvento e guadagnavano sempre più il gusto del pubblico. L'improvvisazione, il free, le contaminazioni del jazz con la musica indiana o africana erano sempre più diffuse e Mingus ne era infastidito. Tanto più era infastidito da essere definito un musicista di avanguardia perché lui si sentiva un musicista tradizionale, nel senso che credeva nell'importanza della preparazione e dello studio della musica e attingeva alla tradizione per comporre. La sua vera originalità era ricombinare fonti tradizionali (musica classica, spagnola, mambo, bebop, gospel, dixieland, da circo, ecc. ecc.) in piccole biografie sonore. Per lui infatti esiste una sola musica, la musica totale, che nel suo caso ha la forma del jazz ma contiene tante musiche possibili, che bisogna studiare con metodo. Nel libro si parla molto delle vicende legate alla gestazione e produzione del suo disco preferito Let My Children Hear Music del 1971. Si parla di come trattava i musicisti che suonavano con lui e delle sue idee riguardo alle lotte razziali, alle donne, al sesso per finire con affrontare il rapporto tra il Mingus reale e il Mingus immaginario, quello raccontato dagli altri e anche da se stesso, ad esempio in Peggio di un bastardo, che può essere letto come un tentativo provocatorio ed eccessivo di giocare con gli stereotipi sui neri che venivano veicolati dalla stampa e dall'opinione pubblica. Il tutto è infarcito di commenti di Goodman e di piccole interviste.
Recensioni
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