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Un'avventura erotica dello Scià di Persia nella Vienna absburgica. Un romanzo dove l'autore torna a essere la pura voce senza nome della favola e muove i suoi personaggi in una spietata partita a scacchi di cui nessuno di essi può essere consapevole e che segnerà, per tutti, la rovina. Intatta, alla fine, rimane solo una collana di perle attorno a cui tutta la storia aveva occultamente ruotato. «Il capolavoro di Joseph Roth, l'esito estremo della sua asciutta disperazione e del suo struggente amore di vivere». (Claudio Magris)
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Non aspettatevi Shéhérazade che riprenda il discorso interrotto di Mille e Una Notte e ci scodelli un’altra stringa di travolgenti racconti. E’ una storia circolare che inizia con la visita dello Scià di Persia a Vienna a metà ottocento e termina con una sua seconda visita. In realtà i due viaggi dello Sciahan-scià a Vienna sono un pretesto per descrivere il degrado morale della popolazione dell’impero asburgico, in particolare delle sue classi sociali più elevate, i nobili e le alte gerarchie militari. Epitomate nella figura del capitano del nono dragoni di cavalleria barone Taittinger. Il ritratto che Roth ne dipinge è impietoso: “godeva a non pensare a nulla, a passeggiare senza meta, a mangiare senza appetito, a bere senza voglia, ad amare senza gioia, alla solitudine senza senso […] all’ebrezza senza allegria” (Gli Indifferenti di Alberto Moravia?). E calca di più la mano: “le poche idee stente per cui il cranio sembrava una sede troppo spaziosa, le minuscole manie e le passioni infantili, le osservazioni che gli uscivano di bocca a casaccio senza nessun rapporto con la realtà”. Non è solo lui, è quasi tutta la popolazione dell’impero a trovarsi nelle stesse condizioni di apatia e bassezza morale. Con queste premesse non c’è che aspettarsi una spirale in caduta libera in un pozzo senza fondo, dal quale il povero Taittinger non potrà salvarsi. Direi che Les Misérables di Victor Hugo avevano una ben più elevata dignità morale. Nonostante la cupa atmosfera il romanzo si legge con grande interesse anche per la scrittura lineare, incisiva, senza sbalzi, dell’autore, che si conferma tra i più grandi scrittori del novecento.
Un libro malinconico e per certi aspetti tristemente attuale, ci si rende conto che nonostante cambino i tempi e il contesto, in fondo le piccolezze, le debolezze e le stupidità degli uomini rimangono sempre le stesse. Concordo con chi sostiene che Roth sia uno dei più grandi autori del Novecento e consiglio - a chi non l'avesse ancora letto - I Cento Giorni.
c'è un po’ di "commedia umana" balzachiana in questo straordinario romanzo che ha per sfondo la Vienna del decadente impero.forse il miglior romanzo di roth
Recensioni
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