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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2019
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Se il problema vi affascina, questo è il giusto libro.
La peggiore delle filosofie possibili, a mio modesto parere.Chi cercasse la spiegazione di una giustificazione di Dio verso il male nel mondo, secondo me non la troverà nelle meditazioni dei tre autori trattati nel testo, Leibniz, Malebranche e Arnauld. Io ho trovato gli argomenti autoreferenziali. Dio è sommamente buono e saggio, quindi se ha creato questo mondo pur con il male ingiusto che tocca i buoni, allora non si poteva fare diversamente.E tra una riflessione e l'altra sulla bontà divina, magari progettare anche l'invasione dell'Egitto per combattere gli infedeli, come aveva fatto Leibniz, a mio avviso questo è l'ennesimo non senso di chi si definisce ispirato a Dio e non si accorge delle sue contraddizioni inerenti amore e violenza. Probabilmente in quei tempi ci voleva coraggio a sfidare una Chiesa ancora potente, e conveniva uniformarsi alla fede per non incorrere in guai seri, e forse conveniva un pò anche mentire a sè stessi. Io sinceramente non sono riuscito a leggere tutte le ingarbugliate tesi dei vari autori, ad un certo punto te ne rifuggi volentieri, lo esige anche il rispetto che dobbiamo al nostro destino di mortali sofferenti. In conclusione è citato Spinoza e lo spettro del suo pensiero che incombeva su quello degli altri autori. Sembrava difficile conciliare libertà e necessità nel concetto che si aveva di Dio. Nell'epilogo Nadler fa un pò il punto. Anche se la teodicea può semplicisticamente dirsi superata, e superata da altri filosofi, quali Voltaire, Hume o Kant, oggi ricorda l'autore che essa può ancora dare conforto ad alcuni credenti.
Delizioso. Lo stile narrativo, a volte investigativo, rende la lettura più che piacevole. Lo consiglio, assieme agli altri suoi due libri presenti nel catalogo einaudi, e auspico la traduzioni dei suoi testi già apparsi in lingua inglese.
Recensioni
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Nadler ricostruisce il dibattito intorno al male sviluppatosi in Europa, e a Parigi in particolare, negli ultimi decenni del Seicento. Come conciliare il fatto che nel mondo esiste la sofferenza e che il mondo è stato creato da un Dio buono e saggio? Questo, in sintesi, l'interrogativo principale, dietro cui si celavano però questioni più generali riguardanti il senso stesso dell'esistenza: l'universo è frutto di saggezza oppure è privo di significato? Tre furono i protagonisti indiscussi, di cui si analizzano libri, articoli ed epistolari: il luterano Leibniz e due cattolici, ossia l'oratoriano Malebranche e il giansenista Arnauld. La discussione non era certo inedita: aveva trovato spazio nella filosofia pagana antica e nella teologia medievale, per non ricordare la riflessione biblica affidata al Libro di Giobbe. Tuttavia, essa esprimeva allora le tensioni di un'Europa definitivamente divisa dopo la crisi religiosa cinquecentesca e le domande di una cultura rinnovata dalla rivoluzione scientifica. Per Leibniz l'universo, pur imperfetto, è il migliore che Dio avrebbe potuto creare. A Malebranche il mondo non appare il migliore dei possibili in assoluto, ma certo il più perfetto in relazione alle leggi naturali che lo regolano (in tal senso il male esiste perché Dio lo permette come un prodotto del corso della natura). Stando ad Arnauld, secondo il quale la comprensione del volere divino è comunque impossibile, le imperfezioni sono dettagli che sembrano difetti a causa dell'incapacità umana di osservare la realtà in una prospettiva più ampia (messe insieme, le singole cose costituiscono invece una splendida totalità). Diversi per formazione e pensiero, i tre autori offrirono dunque risposte differenti, che non hanno mancato di alimentare il successivo dibattito.
Patrizia Del Piano
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