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Raffaela Fazio affronta nei versi di Midbar l’universo veterotestamentario, con competenza scientifica e lievità di stile, riuscendo a rendere coinvolgente un argomento di non facile assimilazione. Già il titolo della raccolta rivela la consuetudine dell’autrice con l’ebraico: midbar significa deserto, termine che richiama le estese solitudini abitate dai profeti, i silenzi umani e divini tanto difficili da interpretare. Con un minimo scambio consonantico, può riallacciarsi al sostantivo dabar, indicante sia la parola sia l’evento. Ecco quindi che nel vuoto dell’assenza si iscrive l’incontro, il suono verbale emesso dall’altro da sé, l’esperienza di un avvenimento che sconvolge e trasforma, come suggerisce l’epigrafe di Heidegger posta in esergo a questo volume. I protagonisti biblici narrati sono appunto tra coloro la cui vita è stata segnata da una sconvolgente epifania, a cui hanno risposto con un’affermazione o una negazione, con un’obbedienza o una ribellione. Prevalentemente si muovono all’interno della Genesi: Eva, Abramo, Isacco, Agar, Giacobbe, Rachele, Giuseppe. Mosè ci parla dall’Esodo, Rachab dal libro di Giosuè; altri personaggi hanno la voce dei profeti, Giobbe alza il suo grido di dolore e protesta in chiusura del volume: “Cos’è che crolla in me? / Cosa rimane / se stendi uguali i giorni / sul boia e l’innocente?”. Sono uomini e donne vissuti migliaia di anni fa, che si pongono le stesse nostre domande sulla vita e sulla morte, vivono la stessa nostra ansia nei riguardi del futuro, un uguale rancore contro l’ingiustizia e la sofferenza immeritata, attendendo una risposta, un’illuminazione e una guida da Dio. L’autrice ha intessuto un dialogo tra umano e divino privo di ambizioni spiritualistiche, lontano da ogni aspirazione alla trascendenza, ma decisamente terreno, impastato di un epos che supera la soggettività, e si fa invece portavoce di una vicenda storica diventata simbolica e universale.
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