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In oltre 35 anni Michele Placido ha ricoperto un centinaio di ruoli, interpretando in modo magistrale la realtà italiana, quella più spinosa, più difficile da raccontare. Altrettanto fa come regista a partire dagli anni Novanta. Dall'intervista rilasciata a MASSIMO CAUSO e FABRIZIO CORALLO, il cui risultato è questa preziosa pubblicazione, emergono due aspetti affascinanti e profondi: il suo ruolo di artista "impegnato", capace di far "parlare" la storia e l'attualità, e il magnetismo di chi nella vita ha avuto dei veri maestri e oggi è egli stesso "maestro".Il cinema e un po' la tv (dalla seria "La Piovra" al recente "Moro Il Presidente") sono stati per lui e grazie a lui "la voce" dei dissidi degli anni Settanta , delle contraddizioni degli anni Ottanta , delle trasformazioni degli anni Novanta ("Giovanni Falcone", "Lamerica"). Proprio negli anni Novanta inizia la sua attività di regista, ed esordisce denunciando l'emergere di nuove "questioni sociali" come in Pummarò. Ha rappresentato e diretto temi scomodi: dalla mafia ("La Piovra", "Pizza connection") alla discriminazione razziale ("Pummarò"), alla vita in un carcere ("Mery per sempre"), a un femminismo meridionale colpevolizzato e incompreso ("Io sono mia"), alla violenza in famiglia ("Le amiche del cuore"), a esempi magistrali di dedizione al dovere e allo Stato ("Un eroe borghese", "Giovanni Falcone"). Insomma non ha tralasciato nessun aspetto di rilievo nella storia del cinema contemporaneo italiano, il grande attore di origini pugliese.
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