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Si arriva a un momento della vita in cui, ricollegandosi idealmente al passato, si cerca di dare una soluzione all'eterno problema di ogni essere umano, cioè si aspira a che ci sia una continuità, a che resti una traccia di noi per il tempo in cui non ci saremo più. Camon, nella dolorosa circostanza della grave malattia che colpisce il padre, cerca questo filo ideale che si perpetua nei secoli, così che ognuno di noi esiste perché qualcun altro è venuto prima e di lui portiamo segni inequivocabili, una parte del dna che accomuna i bisnonni ai nonni, ai figli dei nonni, cioè i nostri genitori, noi e i nostri discendenti, un segno indelebile, incancellabile che insieme costituisce traccia e presenza anche quando la nostra vita sarà cessata. Il suo è un racconto in prima persona, in cui la figura paterna assume una dimensione quasi mistica e se in Un altare per la madre proprio il padre aveva elevato, con commosso omaggio, un'ara a perenne e perpetuo ricordo dell'amata scomparsa, in questo libro lo scrittore padovano diventa l'officiante di una liturgia commemorativa della figura del genitore, più presente nelle prime pagine, assente nominalmente nelle ultime, anche se sempre aleggia la sua personalità, perché la vita è così, perché di chi ci lascia portiamo in noi, oltre che la memoria, alcuni tratti distintivi, così che di ognuno possiamo dire che è parte di una determinata stirpe. La mia stirpe è il racconto appassionato di un credente che aspira a un'immortalità terrena grazie alla stirpe di cui è parte; è forse un sogno a occhi aperti, ma credetemi se vi dico che è un bellissimo sogno.
Il libro di Camon è excursus su quelle che sono le piccoli grandi caratteristiche che contraddistinguono tante persone, cioè l'essere volenti o nolenti appartenenti ad una stirpe(o una razza) e portarsi nel dna e nell'atteggiamento e nella fisiognomica tutte quelle peculiarità che caratterizzano le persone. Lo scrittore fa risaltare in queste pagine innanzitutto, per quanto mi riguarda, quella fierezza e quel saper stare coi piedi x terra e quindi molto concreti tipico delle persone che hanno lavorato la terra. Camon descrive prima il modo di fare del padre, contadino, e poi suo cioè di uno scrittore e quindi dei figli che svolgono lavori dei più vari(uno prof universitario a Bologna, l'altro sceneggiatore a Los Angeles) bene in tutte queste persone c'è un filo conduttore comune che li caratterizza: una forte fede poco esternata ma molto profonda ed interiore, ed il voler a tutti i costi voler mantenere un forte legame con le persone consanguinee anche se residenti in posti molto distanti fra loro. Altra nota da segnalare e sottolineare riguarda le caratteristiche fisiognomiche, molto toccante e commovente quando Camon descrive prima sua madre con i suoi movimenti di qua e di là con il capo e sopratutto di una cisti cutanea che aveva in testa...cisti che ritrova nella testolina di sua nipote una volta che gli accarrezza la testa. Ragguardevole anche il voler a tutti i costi regalare una soddisfazione al padre semi morente, cioè cercare di portargli un saluto del Papa, figura carismatica sempre amata da suo papà. Ho trovato un pò scollegati i passaggi in cui l'autore critica abbastanza duramente Vittorio Emanuele di Savoia ,certi modi di pensare degli islamici, Dario Fo e anche Nanni Moretti, ma d'altronde è un libro sfogo, un libro verità e quindi lo scrittore non si è risparmiato.
Si arriva a un momento della vita in cui, ricollegandosi idealmente al passato, si cerca di dare una soluzione all'eterno problema di ogni essere umano, cioè si aspira a che ci sia una continuità, a che resti una traccia di noi per il tempo in cui non ci saremo più. Camon, nella dolorosa circostanza della grave malattia che colpisce il padre, cerca questo filo ideale che si perpetua nei secoli, così che ognuno di noi esiste perché qualcun altro è venuto prima e di lui portiamo segni inequivocabili, una parte del dna che accomuna i bisnonni ai nonni, ai figli dei nonni, cioè i nostri genitori, noi e i nostri discendenti, un segno indelebile, incancellabile che insieme costituisce traccia e presenza anche quando la nostra vita sarà cessata. Il suo è un racconto in prima persona, in cui la figura paterna assume una dimensione quasi mistica e se in Un altare per la madre proprio il padre aveva elevato, con commosso omaggio, un'ara a perenne e perpetuo ricordo dell'amata scomparsa, in questo libro lo scrittore padovano diventa l'officiante di una liturgia commemorativa della figura del genitore, più presente nelle prime pagine, assente nominalmente nelle ultime, anche se sempre aleggia la sua personalità, perché la vita è così, perché di chi ci lascia portiamo in noi, oltre che la memoria, alcuni tratti distintivi, così che di ognuno possiamo dire che è parte di una determinata stirpe. La mia stirpe è il racconto appassionato di un credente che aspira a un'immortalità terrena grazie alla stirpe di cui è parte; è forse un sogno a occhi aperti, ma credetemi se vi dico che è un bellissimo sogno.
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