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LESSING, DORIS, Mia madre, Bollati Boringhieri, 1988
BRUCK, EDITH, Lettera alla madre, Garzanti, 1988
recensione di Baggiani, A., L'Indice 1989, n. 1
Due libri diversissimi, per registro, timbro, intensità - calda passionalità l'uno, fredda oggettività l'altro - si misurano con lo spinoso problema del rapporto con la madre, nodo fondamentale per la crescita della persona. Nodo che solo la morte riesce a sciogliere, costringendo nella paralisi dei sentimenti, a valutarne il peso e a prendere le distanze. La "Lettera" della Bruck è una lunga interrogazione, ora ironica, ora dolente, oscillante tra identificazione e rifiuto, pietà e polemica, dove ad ogni istante si ritrova l'anima della rivolta infantile alle regole, diventata, per forza di cose, istinto di sopravvivenza, e cresciuta nel tempo come ribellione all'ordine costituito portatore di morte, all'obbedienza che cede alla violenza, alla rassegnazione che nutre l'ingiustizia. Respinta nell'amore dalla figura materna - identificata col duro principio di realtà - ma defraudata, per Auschwitz, della sua vita e della sua morte reale, con domande e conti in sospeso, attraverso una passione che annulla il tempo perché quelle ferite non possono rimarginarsi, la Bruck raggiunge la maturità nel momento in cui, recitando per la madre un irregolare Kaddish, ne accetta la definitiva scomparsa. Allo stesso modo, nella seconda parte del libro -inquieto e sconvolto ritorno a Dachau per ritrovarvi tracce di memoria - frantumerà il suo volto nello specchio, esorcizzando il suicidio e recuperando un suo mondo interiore non dissimile da quello del vecchio ebreo ungherese senza più memoria. Si compie così un rito di morte e rinascita che permette alla Bruck di consegnarci, in una scrittura semplice e tesa, una lucida, vibrante immagine della realtà.
Il contrario avviene nello smilzo libretto della Lessing, cui l'assoluto scrupolo oggettivo impedisce, paradossalmente, una giusta messa a fuoco degli avvenimenti. Anche qui la madre viene percepita come principio d 'autorità, portatrice di verità assolute, di contro al padre evanescente o addirittura proiettato nel sogno (ci sarebbe molto da dire sul cliché del padre assente, anche nel libro della Bruck sempre muto). Ma queste verità sono quelle dell'etica vittoriana, che peraltro permette l'adattamento in un mondo, l'Africa, lontanissimo dallo spirito europeo - com'è lontana, per l'ebrea madre della Bruck, allenata alla rassegnazione dai suoi valori religiosi, la cattolica Ungheria contadina dove la persecuzione ha antiche radici. Per la Lessing e per la sua generazione l'Africa è invece il nuovo, un mondo di valori rivoluzionari che si oppone, brutalmente, a quello Vittoriano della madre. Di qui lo sforzo, continuo, di ricostruirne un'immagine storica, l'unica che permetta una giustificazione; ma anche l'ambiguità di un'irritante categorizzazione, che elude il nodo centrale del problema, sempre quello adolescenziale del rapporto. Ancora ferita aperta, risentimento per un amore negato, compiacimento di una sfida in atto che diventa autogiustificazione e sfocia, nel migliore dei casi, nell'indifferenza. Restituendo, questo sì, un disagio tutto moderno dei sentimenti ma confinando il quadro nel dagherrotipo d'epoca, molto più sfumato e incerto di quanto la materia non meritasse.
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