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Ho letto il libro per esigenze universitarie e non mi aspettavo di rimanerne così colpita. Purtroppo oggi le immagini di guerra, morte e distruzione passano sugli schermi dei nostri televisori quasi con normalità. Ormai siamo talmente abituati che quasi non ci facciamo più caso. Tutto ciò è molto triste, ma è la cruda realtà.Attraverso il racconto di Selim, mi sembra quasi di averlo conosciuto per la semplicità, ma nello stesso tempo per la profondità delle sue parole, ho conosciuto una realtà per me al di sopra di ogni più violento sentimento che potesse sopraffare l'uomo. Dalla comodità dei nostri divani vediamo spesso le immagini di inviati di guerra, ma non le guardiamo. Mi spiago: Tradurre in emozioni ciò che ci è bruscamente proposto e andare aldilà della distruzione e delle macerie. Pensare invece che una famiglia non ha più una casa e quel cumulo di mattoni possono rappresentare i sacrifici di una vita fatta di sudore e rinunce. Ammiro molto l'operato di coloro che si sacrificano incondizionatamente per il bene altrui, per persone che nemmeno conoscono.Bisognerebbe quindi dare maggiore velore alla vita, a tutto ciò che ci circonda e non correre dietro ad inutili chimere. Selim poteva usufruire di molti privilegi e agire lontano dagli scenari più sanguinosi, ma ha scelto di andare sul campo e di portare in prima persona aiuto a chi ne aveva bisogno. In sua memoria posso solo aggiungere: GRAZIE SELIM.
Ho letto con molta attenzione questo libro ed alla mia eta' non ci si commuove facilmente. Devo aime' confessare, che ho versato qualche lacrima di commozione pensando che chi lo ha scritto,non e' piu' tra noi a causa della stupidita' di altri esseri umani. Ai giovani dico riflettete ed ai politici consiglio di guardarsi allo specchio la mattina se ne hanno il coraggio.
sono un´operatrice umanitaria e ho trovato nelle parole e nei pensieri di Selim un grande cuore. Non solo un uomo che in pochissimsi anni e´riuscito a comprendere i limiti della ássistenza umanitaria ma anche qualcuno che attraverso la propria intelligenza e il proprio cuore e´veramente riuscito a lavorare per e con la gente. Selim e´nel mio cuore e rileggiero il suo scritto ogni volta che mi trovero´ in qualche posto sperduto nel mondo, grazie Selim.
Recensioni
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Morto a trentatré anni nell'attentato alla sede Onu di Baghdad il 19 agosto 2003, Jean-Sélim Kanaan era un franco-egiziano cresciuto in Italia, dapprima volontario per alcune ong, poi studente a Harvard e infine critico, ma leale, quadro delle Nazioni Unite. Tirando le somme dopo l'11 settembre, egli scrisse questo intenso resoconto autobiografico, dalla lingua spoglia e diretta, con molte parti ingenue e superflue, e anche indebolito da un certo qual egocentrismo di fondo, ma estremamente significativo. Soprattutto per quanto vi viene detto sull'operato delle organizzazioni internazionali attive nei teatri di guerra. L'autore, in Somalia nel '92, poi in Bosnia, in Kosovo, e infine, fatalmente, come si accennava, in Iraq, sulla base di tale vasta esperienza diretta attacca infatti non solo l'Ocse, giudicata vacua e parolaia, ma anche le ong in generale e l'Onu. Nelle prime, "microcosmo di ego ipersviluppati", riscontra "machismo, mancanza di responsabilità, assenza di sensibilità", nonché una scellerata tendenza a reclutare qualunque sbandato si affacci alla loro porta e a scialacquare i fondi dell'Unione Europea, anche se ammette che con il tempo le ong hanno compiuto alcuni passi avanti. Malgrado l'ammirazione rivolta a Bernard Kouchner, delegato per il Kosovo (dove l'autore sarebbe divenuto ministro dello Sport), nell'Onu Kanaan vede invece "un covo di burocrati, di imboscati e di funzionari", un "salottino mondiale" che ha miseramente fallito nei Balcani come in Ruanda. Pagine che devono far riflettere, soprattutto in anni nei quali il ruolo delle Nazioni Unite appare sempre più determinante per gli equilibri mondiali.
Daniele Rocca
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