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Come le api si riuniscono istintivamente a costruire la geometria dell'alveare secondo la guida di una mano invisibile, così accade che anche i pensieri si raccolgono spontaneamente a formare la geometria di un libro secondo la mano invisibile dell'autore unita ipostaticamente a quella più sottile dell'ispiratrice, che è sempre una Musa. Il libro di Sorrentino è infatti una collana di perle iniziatiche disposte in sequenza non lineare nell'architettura del saggio, i suoi non sono frammenti ma frattali, ovvero gocce in ciascuna delle quali è speculata l'interezza del pensiero autorale. L'avvertimento evangelico che nessuno può servire due padroni si adatta ad unguem come invito a ricercare l'unità del libro nell'unità dell'ispirazione che lo ha reso necessario: la contraddizione interna a un sistema sarebbe infatti il segno di un'inaccettabile doppiezza dell'ispirazione a monte dello stesso, mentre l'ambiguità è solo la specie dell'enigma che come la Sfinge sbarra la strada e finanche divora il viandante privo dell'intelligenza risolutiva. La Sfinge è un mostro, ma è mostro sacro, chi come Edipo riesce a lacerare il velo dei suoi enigmi ne provoca la morte e libera il mondo dal suo giogo ma attira su di sè la vendetta delle Moire, a simboleggiare che l'involucro enigmatico dei pensieri, come quello della materia, serve a proteggere non tanto il tesoro contenuto quanto lo stesso scassinatore dalla potenza nucleare liberata con ogni fissione. Pertanto la Sfinge sorrentiniana non invita a risolvere l'enigma che propone ma a naufragare in esso per contemplare il sacro che cela, e perdendo il tragitto dell'analisi e della trattazione ritrovarsi così in comunione col sacro, che è il massimo auspicio di ogni autentico lettore.
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