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recensione di Tozzi, M., L'Indice 1996, n. 4
L'idea di progresso scientifico che si ricava da una prima lettura de "Le meraviglie del Duemila" non è certo delle più felici. Lo sviluppo per Salgari consiste in un futuro in cui i treni raggiungeranno il Polo Nord in tunnel sotterranei, mentre la posta viaggerà per via pneumatica e le macchine avranno sostituito gli operai. Nel Duemila di Salgari gli automobili sono praticamente assenti, ci si sposta su macchine volanti provviste di ali battenti (ma non si era accorto che i fratelli Wright già volavano su biplani ad ala fissa?) e gli uomini mangiano cibo in pillole - dopo aver sterminato tutti gli animali da pascolo -, agitandosi freneticamente tutto il giorno a causa dell'invadente presenza della corrente elettrica nella vita quotidiana.
Sarà però difficile trovare l'afflato utopico della grande letteratura fantascientifica e del romanzo scientifico, o il rovello del dubbio degli androidi di "Bladerunner" (conoscere il proprio destino e il proprio artefice). Il mondo futuro è invece un mondo in cui i diversi vengono emarginati, esiliati in ghetti e - quando serve - sterminati: gli anarchici vivono in isole galleggianti che possono essere affondate al minimo segno di ribellione, i camerieri sono in realtà "servi" e ci si deve guardare dal "pericolo giallo" ormai alle porte. Terrorismo e incremento demografico sono i maggiori problemi del futuro, mentre i pregiudizi razziali sono di là dall'essere superati.Insomma, la costruzione di un mondo migliore passa per la crescita tecnologica - e nemmeno tanto adeguata -, mentre il rumore del mondo contemporaneo viene rimosso e attutito in un futuro silenzioso, ripulito dai rumori delle macchine a scoppio e, soprattutto, dal rumore delle sommosse.In questo contesto il progresso scientifico non è comunque ben visto: un eccesso di hybris condanna inevitabilmente l'uomo alla pazzia o alla propria distruzione. Si tratta, come si vede, di un libro apparentemente diverso da quelli del "solito" Salgari, ma non per questo meno amato da generazioni di bambini (tra cui Susanna Tamaro, come da lei stessa ricordato nel suo romanzo di maggiore successo).
A una lettura più approfondita i temi si intrecciano e viene da domandarsi se la radice della distruzione ambientale perpetrata dall'uomo moderno e contemporaneo non trovi il suo terreno più fertile in quel poter fare a meno della natura che resta sotteso a tutte le pagine del libro.Il rapporto con la natura (ma anche quello con la geografia) consiste in una conquista violenta, in una lotta con animali e ambienti ostili di cui i protagonisti della catalessi centenaria qui raccontata osservano un po' perplessi i risultati.
Nonostante il linguaggio di vaga ispirazione futurista, lo stile delle "Meraviglie" è abbastanza appesantito, non così noioso come si è scritto, ma ripetitivo, sostenuto dalla preoccupazione costante di rassicurare il lettore che tutto è stato previsto con meticolosa precisione e ossessionato dal problema della possibile mancanza di denaro, dei prezzi o delle mance ai camerieri.Col senno di poi si fa un po' fatica a leggerlo, soprattutto per via di alcune precisazioni pleonastiche (che del resto non mancano in altre sue opere), ma è uno sforzo tutto sommato relativo e premiato poi dalla scoperta di quadri immaginari del futuro da cui la fantasia del lettore può sciogliere le briglie e partire per propri viaggi nel tempo, come caselle in ipertesto di uno scritto multimediale ante litteram.
Non avrebbe ovviamente grande senso valutare quali e quante delle meraviglie del Duemila previste da Salgari si sarebbero poi avverate: si deve piuttosto considerare che non ci sono poi grandi differenze tra il mondo del 1903 e quello di cent'anni dopo.Colpisce cioè - come fa giustamente notare Bassignana nella sua postfazione - la scarsa capacità immaginativa di Salgari per quello che riguarda le scoperte scientifiche e tecniche del futuro, a fronte della sua realistica ricostruzione di terre lontane e isole misteriose. Al contrario di Verne - di cui Salgari è esplicitamente debitore, ma non in questo libro -, che parte sempre da una salda base scientifica, l'autore non sembra rendersi conto dell'escalation tecnica e industriale che proprio in quegli anni avrebbe permesso giganteschi cambiamenti e si avventura in profezie spesso già superate dalla realtà o decisamente improbabili.In coda al libro un interessante commento di Gondolo della Riva dipana l'intreccio dell'ispirazione verniana di Salgari, esaminando la serie dei "Voyages extraordinaires" - escluso quel Paris au XXe siècle ritrovato solo di recente - e i temi del viaggio spazio-temporale.
Sarebbe d'altra parte ingiusto non mettere in luce anche le intuizioni più brillanti di Salgari: "Le meraviglie" non sono costellate solo di invenzioni prevedibili e poco attraenti.Gli spazzini meccanici o i distributori automatici di cibi e oggetti, o - ancora - l'energia ricavata dalle correnti di marea e la desalinizzazione del mare rappresentano bene un campionario in grado di incuriosirci ancora oggi.
In ultima analisi Salgari resta un grande creatore di miti e sembra ingiusto valutarlo solo con il metro della previsione azzeccata o del valore scientifico: anche Marconi e Fermi leggevano Salgari, a dimostrazione che si può sorvolare sulle ingenuità e sugli "errori" per godere della costruzione fantastica che è spesso avvincente come la preparazione di un agguato malese davanti a Mompracem.
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